INTERVISTE

THE GHOST EFFECT

maggio 2011

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Sono rimasto piacevolmente colpito dal disco dei Ghost Effect, e non ho potuto fare a meno di scambiare quattro parole con loro. Per gli amanti della Darkwave classica, una band da tenere d'occhio senza riserve! Torino di nuovo al centro della musica oscura? SI!

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A costo di risultare banale… presentate voi e la band ai lettori di EDS

Laura: I Ghost Effect sono innanzitutto un gruppo di amici, tanto che se per
qualche motivo non riusciamo a trovarci per suonare ci manchiamo! Poi sono una band in continua evoluzione, che cerca di assorbire in sé le migliori suggestioni che ha intorno. E per suggestioni intendo non solo la musica, ma anche le persone che incontriamo sulla nostra strada e che vivono questa passione come noi. In origine eravamo io – voce, chitarra e lamentazioni –, Davide – basso, arrangiamenti e rotture di scatole – e Claudio – chitarra, diavolerie elettroniche e composizione delirante. Oggi siamo una sorta di band allargata e cerchiamo di coinvolgere i migliori (o più simpatici) musicisti della scena torinese, perché crediamo nel valore della personalità, soprattutto dal vivo – meglio la deliziosa violoncellista Beatrice Zanin del violoncello campionato! I nostri gusti musicali sono piuttosto evidenti già al primo ascolto dei brani proposti nel CD: veniamo quasi tutti dagli anni 80 e si sente! Ma – forse un po’ presuntuosamente – non ci consideriamo una mera ripetizione di quelle sonorità.

Come è nato il progetto The Ghost Effect? Vi va di parlarci del “prima” e del “dopo”?

Claudio: I Ghost Effect sono nati anni fa… per caso! Io e Davide suonavamo già
assieme per divertimento, nulla di serio… E poi non ci trovavamo mai a nostro agio con altri musicisti, il suono era sempre “sbagliato”. Laura l’abbiamo incontrata a un concerto, abbiamo provato a fare una cover dei Velvet Underground e da quel momento non ci siamo più separati! A questa base ormai consolidata abbiamo aggiunto i due nuovi pilastri, Enrico Arnolfo alla batteria e più recentemente Enrico Bricco alla chitarra.

Siete evidentemente ispirati da bands storiche come Siouxsie and the Banshees o Cure. Ma quali sono le vostre altre ispirazioni? Ascolti recenti et similia?

Davide: Ovviamente, l’anagrafica ha una certa influenza su quella che è stata la
nostra crescita musicale. Citando un nostro amico scrittore (Roberto Melle, autore di “20negli80”), avevo 20 anni negli 80, quindi sono stato contemporaneo di quella stagione in cui secondo me era più importante la creatività del progetto; la stessa sperimentazione non si traduceva in un uso esclusivo della tecnologia, cosa che oggi fanno invece molte band, che, “nascoste” dietro i loro PC, mi danno spesso l’impressione di “chattare” sul palco, anziché suonare… Anche oggi, però, passato un certo periodo di oscurantismo anti-creativo, si possono incontrare band che hanno saputo ascoltare e recepire le suggestioni di quei tempi (sempre gli 80!), ma anche modernizzarle stilisticamente. Potrei nominare i Radiohead, gli Editors o gli Arcade Fire, per citare i più conosciuti; ma anche alcune realtà nostrane cominciano a dire la loro: vorrei ricordare Femina Faber, le molteplici forme creative di Modonese Palumbo, i Pinguino e gli ormai veterani Spiritual Front… C’è ancora speranza!

Parte delle vostre canzoni sono d’impatto. Come reagisce la gente ai vostri concerti? Quanta importanza date alle vostre esibizioni dal vivo?

Enrico-drummer: Le canzoni sono scritte interamente da Claudio, che quasi
sempre prepara già una versione “elettronica” del pezzo. Già in questa fase, però, viene tenuto in considerazione l’impatto sul pubblico, perché tutto viene creato per essere dato a chi viene a sentirci, o a chi ci sente su disco.
Non facciamo molta differenza tra studio e live, nel senso che pensiamo a un
pubblico anche in sala. Finora la reazione è stata molto buona e non solo sulle canzoni con arrangiamenti più “spinti”. L’idea è di portare il pubblico nel mondo dei Ghost Effect, non di colpirlo quindi con “effetti speciali” di canzone in canzone, ma di lasciarlo sospeso per il tempo del concerto in un’atmosfera densa, quasi liquida, in compagnia della voce di Laura.

Nonostante l’entusiasmo non siete più dei ragazzini. Quanto è cambiata la scena Goth in Italia secondo voi? Col passare del tempo alcuni dicono si sia pian piano spenta, altri che si sia semplicemente espansa ed evoluta… Voi che opinione avete a riguardo?

Davide: A costo di ripetermi, secondo me negli anni 80 non esisteva una vera e
propria scena Goth. Esistevano ragazzi che entravano in sala e suonavano, spesso non sapendolo fare; non c’era un progetto ma un movimento, o meglio una corrente di pensiero in piena… nessuna ideologia pre-costituita, nessuna etichetta, solo un desiderio forte di rottura rispetto alle sonorità laccate e barocche di fine anni 70. Ricordo che gli ambienti per così dire “alternativi”, almeno nella mia città (Torino), pur suddividendosi in diverse “tribù urbane” spesso condividevano gli stessi spazi; mods, dark, wavers, new romantic: ci sentivamo tutti parte di un flusso… creativo! Io non ho idea se il movimento Goth si sia evoluto… a me sembra un po’ avvitato su se stesso. E poi ho sempre avuto la sensazione che fosse più una questione di vestiario, piuttosto che di creatività.

Laura: Queste domande sono un po’ pericolose: si rischia sempre di fare la parte di
quelli che “Ai miei tempi…”. E così ci si condanna alla vecchiaia precoce e al passatismo. Quando si è adolescenti si vive tutto al massimo, con un entusiasmo che rende speciale ogni esperienza… non era forse così anche per i giovani hippy degli anni 60? Ciò detto, non si può negare che gli anni 80 siano stati un momento di grande creatività e sperimentazione, certamente seminali per buona parte della musica che si ascolta oggi. La stessa scena Goth è sublimata in altro, e basta andare a qualche festival per rendersene conto: i ritmi ossessivi, quasi techno, i look più disparati (e colorati!), la presenza sempre più dominante del cyber…

Vi va di parlarci del vostro ultimo disco? Come è nato, come si è sviluppato…

Claudio: Il disco è stato un parto piuttosto lungo, anche perché l’arrivo dei nuovi
membri ha determinato modifiche e aggiunte. Alcuni pezzi hanno ancora il vecchio impianto con la batteria elettronica, in altri c’è la batteria vera; ciò non significa che non useremo più la drum machine: solo che adesso c’è un gruppo con una struttura più definita. Inoltre, il nostro suono è ora più “sporco” rispetto all’inizio, e questo si percepisce in alcune tracce. Infine, adesso siamo sufficientemente attrezzati per produrre un master per conto nostro, senza appoggiarci a strutture esterne per il missaggio finale com’è successo per la maggior parte dei pezzi del disco (pur con ottimi risultati, va detto!).

Volete parlarci del rapporto con la Breakdown Records? Strano vedere una band come la vostra in un roster prevalentemente elettronico…

Laura: Sì, siamo veramente le pecore nere wave della label! Ma ci vogliono bene lo
stesso, forse per il nostro romanticismo un po’ démodé, l’entusiasmo tutt’altro che dark e magari anche per l’atteggiamento sereno, non troppo serioso, nei confronti del nostro progetto. Sarà la saggezza dell’età?

Parlavamo di esibizioni live… quanto è importante per voi questa dimensione espressiva?

Davide: La forma live rimane un’arte, per chi la sa adoperare; non servono orpelli per
comunicare emozioni. Personalmente adoro suonare dal vivo, e ancora oggi mi emoziono quando condivido il palco con i Ghost Effect; nel corso degli anni lo spettacolo si è affinato, con l’aggiunta di ottimi musicisti, e noi stessi abbiamo fatto grandi passi in avanti: soprattutto, cosa che ritengo fondamentale, abbiamo imparato ad accompagnare Lady Ghost (Laura).

Dato che credo non viviate di questo, quanto è difficile conciliare il lavoro “normale” con l’impegno The Ghost Effect?

Enrico-drummer: Bene, a questa domanda rispondo io, che di lavoro nessuno sa
cosa faccio! Principalmente suono, in vari progetti, e ho un’etichetta discografica e studio di registrazione. Il mio è un lavoro principalmente “notturno”, mentre gli altri “Ghost”, tranne Davide, anche lui “musicomane” (è ormai considerata una malattia…), devono dividere il mondo musicale con i loro lavori diurni. Questo complica ulteriormente le cose, e i sacrifici per far crescere la band sono molti: Claudio ha fatto uno sforzo pazzesco per portare a termine il disco e tutti quanti si sono impegnati molto; tutto questo nella speranza non tanto di vivere di “Ghost Effect Business”, ma di arrivare a portare la nostra musica in giro, in Italia e non.

Davide: Vorrei aggiungere due parole a quelle di Enrico. Il lavoro “normale” non ha
mai impedito a nessuno di noi di continuare a produrre e a crescere, seppur con grandi sacrifici di denaro e di tempo; ma d’altronde Claudio non potrebbe vivere senza scrivere (quasi) un pezzo al giorno! Personalmente ho scelto di fare il musicista di professione; certo, mi devo ingegnare e adattare in varie forme e situazioni… del resto sono un ragazzo degli anni 80!

Progetti futuri?

Claudio: Cose banalissime… Suonare in giro il più possibile e soprattutto comporre
pezzi nuovi! Non abbiamo ancora dato il meglio di noi…

Le ultime parole sono per voi

Laura: Cito da un nostro brano, “Submission”:

Let’s start the real thing now
Let’s start the game
Another body in a cage
Another victim of this age
Trying to make you happy
Trying to make you smile
Kissing you with a sharp knife
I know this is a hard life, a hard life

Che sia un gioco o la crudele realtà, la dinamica della vita si risolve nel sottomettere o nell’essere sottomessi…

Max1334

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