INTRO...
Prima o poi avrei dovuto farlo. Troppo era l'amore che avevo per quei dischi, per quelle canzoni, per quelle immagini... per troppo tempo avevo fantasticato, giocato con le supposizioni, chiedendomi e inventandomi le risposte su chi fossero stati, realmente, i Carillon del Dolore. Da molti erroneamente ricordati come l'equivalente romano dei Christian Death (di cui, musicalmente, hanno ben poco) i Carillon del Dolore sono stati, forse, IL gruppo "dark" per eccellenza in Italia. Tra leggende, voci di corridoio e poche fonti certe, il loro culto è arrivato intatto fino ad oggi e non è un caso se nel 2005 ci sono ancora schiere di ventenni che cercano loro materiale, che passano ore a riguardare le loro copertine o ad ascoltare e imparare a memoria i loro testi e canzoni. Irripetibili ed inimitabili, viaggiano ancora nel cuore e nella mente di coloro che, oggi come allora, si lasciano trasportare dalle loro melodie. Amati ed odiati, avevano troppi lati oscuri, ed era ora di fare chiarezza. L'intervista originale era stata ideata come un dialogo tra me e Paolo Taballione, chitarrista e fondatore del gruppo, nonché membro, in seguito, di Fando & Lis, Gronge e un certo gruppo che alcuni di voi conosceranno... ma questa è un'altra storia che verrà spiegata più avanti. Volevo tracciare con lui un sunto della sua carriera, cosa che ha richiesto molto tempo, data l'enorme mole di materiale da cui attingere. Poi però mi sono lasciato trasportare dall'entusiasmo ed ho deciso di dar voce a tutti coloro che hanno fatto parte di questo ensemble favoloso, oltre ad altre figure chiave dell'ambiente Carillon. Ecco perché questa è risultata essere, per me, l'intervista più lunga della mia vita, nove mesi nove (tanto ci è voluto per raccogliere tutto quello che leggerete) che mi hanno dato veramente molto, entusiasmandomi ed emozionandomi. Non posso non ringraziare Stefano, Francesco, Tommaso, Marina, Fabio e soprattutto Paolo, che mi ha sopportato e supportato durante tutto questo periodo. Ed ora, bando alle ciance...

ESCONO IL CORO E GLI ATTORI


Capitolo zero: PRE-CARILLON DEL DOLORE
Prima dei Carillon Del Dolore so che esistevano gli "Atrocity Exhibition" (definiti bui e malati) e i "Panzer Commando" (furiosi ed eccessivi). L'info l'ho recuperata da un Rockerilla dell'85... che mi racconti di quel periodo?
Cosa vi ha portato a formare i Carillon Del Dolore? Com'è nato il tutto?
- Paolo:
Panzer Commando era la band di Tommaso e Franzisco. Erano davvero devastanti. Hardcore punk tra Germs e Discharge.
- Tommaso: quando si discute delle mie attività non amo le definizioni ma dati i tempi e le condizioni direi che eravamo effettivamente una fottutella canaglia di "arcorpancaroli" (hard-core-punk-aroli... capito? :-)). Mi resta solo una registrazione di quei tempi e tra furia iconoclasta e carica eversiva direi, con Paolo, sì ai Discharge per la brutalità sonora e magari sì ai Germs, anche, per il carattere più poetico e metaforico dell'aspetto lirico. In realtà, forse, era puro semplice e completamente incosciente divertimento.
- Paolo: Atrocity Exhibition sono stati il mio primo vero gruppo. Io alla voce, chitarra, basso, Piero Bozzetti chitarra e basso, Massimo "Mefisto" Narco batteria, Roberto Colella basso, Cristiano Rea batteria e grafica, "Sigaro" bassista della prima ora, Emanuele Luzi (per un breve periodo) tastiere. Tra l'81 e i primi mesi dell'83. Tra Cure, Joy Division e Bauhaus ma con un accento tribale e malato, con testi in inglese e in italiano. Non abbiamo realizzato nessun lavoro ufficiale a causa dei continui cambi di formazione. Eravamo inseriti nella scena new wave/punk romana di quegli anni, che comprendeva grandi gruppi come Illogico, Videozona, Style Sindrome, Luxfero, Bloody Riot e molti altri. Abbiamo suonato un po' ovunque a Roma ma i concerti all'Isola Tiberina, al Uonna Club e al Teatro Colosseo (dove eravamo in tre e fu l'ultimo concerto) sono tra quelli
che ricordo con vero piacere. Proprio la nostra attività sui palchi ha fatto sì che io e Tommaso prendessimo contatto. Ci eravamo già incontrati in un primo tempo dalle parti del Bibo Bar (noto ritrovo dei primi punk romani, ben narrato da Roberto Perciballi, cantante dei Bloody Riot, nel suo libro "Come se nulla fosse: storie di pank a Roma '80/'00" ) e poi nella sua cantina. Dopo una lunga chiacchierata a S. Maria in Trastevere, prima dell'estate 1983, i Carillon Del Dolore erano nati.
Sicuramente avere una sala prove nostra ci ha aiutato molto nel produrre quelle tortuose composizioni che, secondo le nostre intenzioni, dovevano sovvertire ogni regola di ordine. Così i nostri brani non avevano una tipica struttura: strofa, inciso, ritornello... piuttosto ogni passaggio era a sua volta un ritornello oppure una strofa, senza continuità. Era una progressione che non ripeteva mai la parte precedente. Provavamo quasi ogni giorno, eravamo dei maniaci. Ripetevamo centinaia di volte le parti finché non si incastravano come volevamo noi. Per dei "pank" non musicisti produrre quelle composizioni così articolate con tanto di tempi dispari non era poca cosa. In particolare Stefano, il bassista, mio grande amico, non aveva mai suonato un basso in vita sua, a malapena strimpellava la chitarra al "pratone" ed era un piacere vederlo completamente a proprio agio.
- Tommaso: in particolarissimo, l'individuo il quale aveva assunto su di sé la responsabilità di usare la bocca, la gola ed i polmoni, cioè il sottoscritto, privo di qualsivoglia nozione su respirazione, pronunzia cantata, uso dei risuonatori, luogo di formazione ed articolazione delle armoniche, ecc, ecc... Armato solo della certezza di essere "fulguribus discerni" tutto scosso dalle folgori dell'ispirazione e furioso abbastanza per superare ogni ostacolo dovuto alla mancanza di tecnica che si fosse frapposto tra la sua ugola e il piacere dell'esecuzione musicale, è stato un ostacolo ed un freno non indifferente.
Parlando sul serio, l'imperizia tecnica dei Carillon Del Dolore prima e dei Petali Del Cariglione poi, è stato forse il banco di prova vero al quale la nostra banda sonora ha fallito. Io cantatore e non cantante, dotato di una voce difficile e non bella, di limitata estensione, eppure cocciutamente concentrato sulla vocalità e null'altro. Una sezione ritmica ai limiti del fuori tempo, consolo Paolo alle chitarre prima e Fabio alle tastiere i quali potessero con una certa presunzione suonare distesamente, giungere con
relativa facilità al suono l'ispirazione chiedeva loro. L'attitudine punk ci ha permesso di farci musicanti senza imbarazzi, in dote di un diritto naturale il quale certificata la musica come necessità delle creature, parifica la dignità della musica popolare a livello della musica colta e concede di avvicinarsi all'esecuzione animati, solo in un primo tempo, di esclusivamente un ispirato rispetto. Intonati al proprio dettato la tecnica esecutiva potrà seguire dopo, negli anni e sotto maestrie valenti, da musicanti farsi musicisti. Il problema è che la sicumera della nostra ispirazione ci ha distolti dall'esempio di ogni magistero e non ci ha concesso anni).
- Paolo: e certo, anche la voce cavernosa di Tommaso e il drumming poco ortodosso di Francisco completavano il quadro, anche se penso che proprio il livello tecnico ha portato la nostra musica a suonare così particolare. Sicuramente fare buona musica che fosse diversa da qualsiasi altra è stato uno dei motivi che ci ha spinto ad iniziare e poi continuare.
- Francesco: io e Tommaso eravamo, diciamo, la base dei Carillon del Dolore. "Pain", infatti (che divenne poi "Dolore"), faceva parte del repertorio dei Panzer Commando, anche se in chiave più violenta... ma quello che contava era lo spirito. Era quello che ci mandava avanti a mille. Il contesto storico in cui vivevamo, l'aria che si respirava nelle strade e tra la gente... era molto, molto diversa da quella di oggi. C'era un forte bisogno di esternazione, di aggregazione ma con ideali nuovi. Il punk fu principalmente questo. E fu un casino, perché non sapevano dove metterci. O eri a destra, o a sinistra. Noi eravamo ambigui. E le prendevamo da entrambe le parti. Ma col tempo l'interesse per un diverso modo di intendere la vita si fece strada, e con il passare dei
mesi erano sempre di più le persone che seguivano un certo modo di essere. Suonare era anche, soprattutto, quello. Esporsi per dimostrare la propria libertà espressiva. Erano anni di enormi cambiamenti. Sia politici, sia sociali, che musicali. Noi ci tiravamo nettamente fuori dagli schemi politici che imperversavano nella cultura di quegli anni e ci buttavamo in un ideale che era nostro, prendendoci i rischi e le gratificazioni del caso. Sulla nostra pelle.

Capitolo Primo: FIORI MALSANI
- Come siete arrivati alla registrazione del primo demo tape? So che non era semplice come ora registrare materiale proprio...
- Paolo:
come dicevo prima, passavamo davvero un sacco di tempo in sala a provare. Quindi tutto quel lavoro doveva per forza avere un fine; concerti ne abbiamo fatti pochi, anche perché due quarti di noi non scalpitavano per salire su di un palco.
Quindi, in compenso, abbiamo avuto una intensa attività in studio che ci ha portato a realizzare due nastri e due vinili. Così nel Settembre 1983 siamo arrivati a registrare e produrre il primo nastro ufficiale, che è stato Fiori Malsani. Questo nastro, tra l'altro, ci ha portato a collaborare con la Contempo Records di Firenze, che dopo averlo ascoltato e ampiamente apprezzato ci contattò.
Non credo che oggi sia più facile registrare. Se hai un gruppo con una formazione tipo: basso, chitarra, batteria e vuoi fare una buona registrazione devi comunque andare in studio e spendere una certa somma di denaro oggi come ieri la cosa difficilmente è a buon mercato, anche se adesso con il computer si possono registrare delle parti in casa e addirittura mixare, ma tutto ciò non lo si fa con un semplice Pc. Diciamo che noi ci potevamo permettere tutto quello che abbiamo fatto e probabilmente non tutti potevano entrare e uscire da uno studio a proprie spese a quella frequenza ieri come oggi. Siamo stati tra i primi a fare autoproduzione a Roma con i Bloody Riot e poi in seguito i Gronge i quali curavano anche la distribuzione dei loro lavori.

- In tutti i brani, oltre ad un influenza della wave anglosassone dell'epoca (mi vengono in mente i Cure, sia per le ritmiche sia per le atmosfere più dense) c'è una forte furia post punk, pregna di accelerazioni e decelerazioni, a cui si contrapponeva l'acidissima slide guitar di Taballione... ma quali erano in realtà i vostri ascolti in quegli anni?
- Paolo: le nostre influenze... Personalmente ho iniziato a "sentire" musica che avevo circa dieci anni: Beatles, STONES, il beat italiano, Who, Zeppelin, Deep Purple, Bowie, il progressive e poi il jazz-rock dei '70. Verso il '77 ascoltavo prevalentemente jazz. In quel periodo però riviste di musica e poi televisione ("l'altra domenica") parlavano del nuovo fenomeno di musica e costume: il punk che mi catturò da subito: e giù a Sex Pistols, Damned, 999 e a vestirsi di catenelle e spillette, croci e capelli corti. Fui pure inseguito da un gruppo di "compagni" dalle parti di via Andrea Doria, cosa capitata a molti che improvvisamente cambiavano look in quel momento (cosa continuata fino ai primi anni '80, chi non ricorda la caccia al punk al concerto dei B-52 a Roma, dove il mio amico Filippo "Luxfero", cantante dell'omonimo gruppo, fu pesantemente pestato?) in cui noi rappresentavamo un'anomalia fra due fronti contrapposti e ben distinti che non ci riconoscevano: si era nell'epoca in cui i fasci si distinguevano nettamente dai compagni per come erano vestiti e come portavano i capelli, io non esitai a tagliarmeli "arrrgh! Sacrilegio!"...

Noi della banda, diciamo che vivevamo intensamente il periodo (inizio '80) in cui si stava reinventando la musica rock. Potevi ascoltare dieci venti gruppi e nessuno si somigliava. Dopo il punk le band avevano abbandonato il blues, leitmotiv in tutti gli anni settanta e sessanta, quindi tutto era nuovo e diverso.
Io non sono mai stato in fissa per un filone in particolare, cioè non avevo venduto tutti i miei vecchi dischi dei Pink Floyd o dei Genesis o dei Led Zeppelin o dei Deep Purple oppure dei King Crimson, come avevano fatto quasi tutti a quell'epoca. Ascoltavo punk inglese, tra i miei preferiti gli Wire, gli Stranglers, gli Ultravox di "Ha, ha, ha" , i Clash e poi quello americano dai Suicide ai Fear passando per i Germs, i Black Flag e poi ancora di ritorno agli XTC passando per i Virgin Prunes e i Bauhaus senza dimenticare i Cure, il dark inglese e americano finendo tra Ramones, Stooges, Dead Boys, Dead Kennedys e via via via dicendo... Noi non facevamo eccezione, con tutti i limiti della nostra tecnica di esecuzione credo che la nostra musica, tutta, sia inseribile in quel periodo come cosa a se stante, cioè non somigliavamo a nessuno. Facevamo una musica davvero assurda.
- Tommaso: riuscire a suonare la Musica. Non una musica bella od una musica brutta, ma una Musica con la M maiuscola, la nostra propria. Passate le mode, divenuti sempre più difficili gli accostamenti ad altre bande sonore, imbaldanzita la nostra perizia tecnica ad ogni nuova strimpellata, profusasi la nostra capacità compositiva, emergeva sempre più lampante la MUSICA, il nostro unico fine, l'unico scopo. Non l'amore ci univa, ma quella Musica. Avrebbero potuto accoltellarmi, ma non privarmi di quell'esperienza. Nonostante tutte
le stupidità acclarate, il roboante insuccesso delle nostre iniziative e l'evidentissima distanza tra le nostre aspirazioni e la nostra capacità di realizzarle, la MUSICA ci aveva presi per mano e ci guidava. Di questo solo ho certezza e credo questo solo rimanga. MUSICA musicava, musica musicante che ci rimusicava dentro. Non accordo con Paolo che ci definisce musica assurda. Non credo proprio provenissimo da altri pianeti o avessimo l'obiettiva capacità di astrarci dalle nostre influenze e soprattutto a prescindere la anguste mura delle nostre scarsissime doti tecniche (discorso, ripeto, da non estendere a Paolo, già provetto chitarrista all'epoca). Certo cercavamo la musica nostra, quella che solo noi, che solo con noi e che mai più dopo di noi...
- Stefano: contrariamente a molti altri in quei tempi, non conoscevo granché dei vari gruppi che si affacciavano sulla scena musicale, e devo dire che il primo a farmeli conoscere è stato il mio grande amico Paolo (così come mi ha introdotto nel mondo della musica ascoltata, mi ha portato a seguirlo in questa avventura con il Carillon). E' stato indubbiamente uno dei periodi più gratificanti della mia vita, e ne conservo un ricordo davvero speciale. Per quanto detto mi è difficile pensare a qualche influenza in particolare, concordo appieno con Tommaso, abbiamo sempre cercato di fare la nostra Musica e non solo. Nella nostra sala abbiamo convogliato talmente tante energie-idee-risorse umane, da creare un laboratorio aperto alla ricerca, appunto, di qualcosa di unico. Con la sapiente regia di Tommaso e la capacità intuitiva di Paolo siamo approdati ai nostri primi lavori con l'impeto giusto, consapevoli dei nostri limiti ma determinati nella scelta di tracciare un percorso.

Capitolo Secondo: TRASFIGURAZIONE
- Questo fu il primo lavoro dove avete abbandonato l'inglese a favore della nostra lingua madre. Perché questa scelta?

- Tommaso: lingua madre lingua madre, lingua madre cantilena e lingua madre litania, lingua madre ninna nanna e lingua madre canto vero. Nessuna scelta: cantare vero, cantare di cuore e cantare d'anima, intonandosi alla propria nota fondamentale e sentire i risuonatori vibrare e ricreare lo spirito dai precordi, cantare tramite lo spirito nella carne, cantare la voce umana, la voce umana è amore, amore sgorgato e senza riserve, abbandono nell'amore vero del canto inarrestabile, amore del vero canto inarrestato risuona e soffia alle labbra senza voce e poi ti parla, poi ti canta e tu sei il canto cantato, il cantatore cantato e la pura voce umana del vero amore umano, canta la sua voce e la musica, la madre di tutte le madri, chiama a sé la madre lingua, il concerto di madri ricanta dentro a tuo dispetto e per il tuo godimento, le madri si chiamano e s'abbracciano in concerto, mentre tu sei cantato alla tua mera voce d'amore vero, e canti la musica madre nella madre lingua. Nessuna scelta, solo una dolcissima necessità subita. Se avessi scelto avrei scelto per compromettermi, promettermi sempre più nel profondo, come sviscerarmi per essere tutto esposto, e l'avrei cantatosussurratogridato in lingua madre.
- Paolo: con l'inserimento della lingua italiana abbiamo sentito l'esigenza di dare nuovi arrangiamenti ai brani già esistenti. La lentezza esasperata era quello che ci interessava. Così con le nuove composizioni abbiamo riarrangiato tutto il vecchio materiale al rallentatore e Tom ha tradotto tutto in italiano. In questa veste abbiamo dato un concerto al Piper Club di Roma, credo che chi c'era ancora se lo ricorda: fra la performance di Gigi (Illogico) e Ilaria e noi fu una serata piuttosto movimentata con tanto di denuncia per atti osceni ai danni di Gigi. Tra l'altro le session di registrazione di "Trasfigurazione" comprendevano una versione di "A kind of love" cantata in italiano e al rallentatore della quale però non facemmo mai un missaggio.
- Stefano: ah, il Piper! Come dimenticare quel concerto! Ricordo bene tutte le raccomandazioni che ci facemmo prima di
salire sul palco: (lento-lentissimo-piano-pianissimo-devi avere il metabolismo di un bradipo) quando ancora nessuno sapeva cosa fosse un bradipo... eheheh! Fu così che iniziai il concerto con un nenia esasperatamente lenta per più di cinque minuti immerso nel fumo denso e pungente dell'incenso e incorniciato dal nero totale della nostra scenografia, certo che ormai i miei compagni, dimentichi di salire sul palco presi da qualche diversivo, continuai la mia performance tra scongiuri, corna e grattatine varie del pubblico, sorpreso e infastidito, del tutto impreparato a quella pseudocelebrazione della morte, o almeno così a me è sembrato.

- La furia post punk dell'esordio qui viene smussata. I suoni si fanno più freddi e chirurgici...
- Tommaso: la furia dell'esordio era la furia dell'esordio e tanta furia non avrebbe potuto non renderci esausti. E come requie abbiamo innalzata questa cattedrale di suoni dilatati, rarefatti persino nella loro dispersa laconicità sovrabbondante, come le mie chiacchiere. Quella enorme semplicità di lentezza di Trasfigurazione (quando avessimo eseguito senza stonature, fuori tempo ed altre imperizie) sarebbe stato in realtà un'inarrivabile goticità di pensiero. Quella brontosauricità di sonanza, quell'invalicabile grattacelicità di esasperazione era coerente ed esaustiva (ripetendo di escludere le toppe tecniche, capaci da sole di vanificare quasi ogni cosa) incredibilmente sufficiente a sé medesima, esplicativa di una filosofia, di un'etica, di una interpretazione del mondo. Giungere a questo, con tre
note per di più parcellizzate in un cronos il quale non è mai trascorso ma inchiodato in una sua perenne assenza di dinamica (nonostante la profondità delle dinamiche compressive delle tecniche di registrazione utilizzate, dbx, per dire, e batteria a pad elettronici Simmons) è stato un miracolo, io credo, anche se, ancora una volta, miracolo di incoscienza e raggiunto a posteriori (se raggiunto possiamo mai dirlo, ostando le persistenti imperizie e le inesperienze).

- La copertina di Trasfigurazione è una delle più belle di quegli anni. Ma chi erano le Aspidi? Che ruolo avevano all'interno del Carillon?
- Paolo:
le Aspidi erano (sono) Donatella Mei e Marina Lorenzi. Con questo nome facevano performance teatrali.
- Tommaso: mi permetto di vantarmi che la copertina, sebbene concepita in tempi ragionevoli, è poi stata materialmente composta dal sottoscritto in cinque minuti in un orribile capannone industriale di Rho, orribile e calcificato, ossificato e mineralizzato suburbio milanese, con un grafico a consigliarmi senza essere ascoltato, in un lampo scelti i caratteri per nome e titolo ed impaginazione del tutto. Molto soddisfatto, devo dire, ed assai più cosciente, ahhhaaa!!!, come grafico che non come cantatore.
- Paolo: e in più erano parte di un gruppo di giovani stilisti chiamati Caput Mundi, che si occupavano di cucire gli abiti di scena per noi, tra l’altro uno di loro, Sergio, ci suggerì il nome per il gruppo ispirato dal film di Bunuel, "L'Angelo sterminatore". Fra l'altro Sergio, per il tempo di due prove, le primissime due prove del Carillon Del Dolore, è stato il nostro bassista. La nostra sala prove aveva due stanze: in una si cuciva e stirava e nell'altra si faceva rumore.
- Tommaso: la nostra sala prove era un altoforno: pressioni e calori impressionanti ventiquattro ore al giorno. La nostra sala prove era una fucina: ardeva il nocciolo di una reazione, non più domabile e sempre prossima alla temperatura critica. In Roma, in Via Magenta 14, in uno scantinato.

- Non avendovi mai visto, potete descrivermi un concerto dei Carillon del Dolore a livello visivo?
- Paolo:
per i concerti, dove era possibile, ci piaceva mettere teli intorno fino a coprire gli amplificatori usare incenso da chiesa e profumi vari. Ci sono stati due concerti in particolare in cui deve essere stato bello vederci: Teatro Espero, il nostro debutto, dove avevamo affittato le luci, un PA potente e gli amplificatori per il basso e la chitarra dai Raff. Tommaso, in abito lungo, aveva un bellissimo cappello da strega confezionatogli da Caput Mundi, io vestivo tacchi alti e maglia di lamé blu, Stefano blusa multicolor e lipstick, Francisco camicia bianca tipo neonatale. La musica un bel frastuono, eravamo ancora nella fase post punk. Erano nostri ospiti i Voices di Salerno, con i quali facemmo amicizia e poi, tramite loro, conoscemmo anche gli Spleen Fix, altro gruppo di Salerno, autori di un grande disco. E poi i mitici Not Moving che in quel momento erano il gruppo di punta della scena dark, anche se loro traevano spunto da quel filone musicale che partendo dalla rivoluzione punk non aveva abbandonato il blues o il rock'n'roll degli Stooges. Un po' come i Gun Club o i Cramps. C'è qualcuno che vende la registrazione del nostro concerto in rete ma la qualità d'ascolto è treeemenda!
Invece al Piper Club suonammo qualche mese dopo. Eravamo in piena fase "Trasfigurazione", noi tutti neri, con ceri votivi, candele e l'immancabile incenso a rendere la scena funerea. Serata movimentata quella, come ho accennato prima, i nostri amici Gigi e Ilaria facevano una performance di alienazione casalinga prima del nostro concerto e Gigi nella foga dell'interpretazione si tagliò via con un coltellaccio le mutande e rimase nudo. Quel posto era strapieno quella sera, quindi quelli del Piper denunciarono per atti osceni dopo averlo picchiato il povero Gigi, i buttafuori erano fottuti nazisti. Poi, mentre quegli stronzi picchiavano nel retro palco a nostra insaputa l'ardito performer, noi iniziammo a suonare al rallentatore tutti i nostri brani, sembravamo un disco suonato a velocità lenta. Verso il quarto brano il posto si era già svuotato. La gioventù coatta dell'84 non era ancora pronta. Chissà se qualcuno ha delle foto della serata oppure una registrazione? Sarei curioso di riascoltarla.
- Tommaso: il concerto era una celebrazione menadica, il rito di una liturgia di passione persino ignota nelle sue stazioni a sé stessa, un'esoterica prova di resistenza e di fede, di partecipazione e di prontezza. Mhm, mi invasavo, aprivo la mia bocca e mi davo ai fiati, poco preoccupandomi della resa sonora, poiché sul fiato cavalcavo come una strega, danzavo come ballerina classica, se solo lo desideravo. Sull'esagitazione d'ogni pathos prendevo a saltare come una ranocchia o ad agitarmi come un epilettico, tutto di nero vestito e nulla di ciò appariva ridicolo, bensì benefico, in qualche modo salvifico, apotropaico per la tribù stretta intorno a noi. Avremmo voluto che musica, scena, abiti, pubblico, l'atmosfera tutta s'impregnasse di magico, d'una laica sacralità alla quale eravamo convinti noi con la nostra ispirazione e la Madre Musica (dichiaratamente dalla nostra parte) avremmo potuto assurgere. Capitava che qualche stonatura ovvero qualche nostro calo di tono, ma anche la poca disposizione del pubblico a lasciarsi coinvolgere nel non-note nel non-pubblico e soprattutto non-pubblicizzato e non-famoso, permettesse la tensione della scena la quale volevamo costruire cadesse sino a livelli di insopportabile tedio. Il nostro concerto non si svolgeva solo sul palco e non avrebbe dovuto risuonare solo dagli altoparlanti. Qui ci è mancato un vero sostegno.
- Fabio: dei vari concerti che ho fatto con i Petali, ce n'è uno in particolare che ricordo con grande gioia. Fu a Torino, ma non ricordo esattamente ne la data ne il luogo... era l'85, Il locale era stracolmo di persone venute apposta per noi (non succedeva spesso, alla fine) e ci lusingò applaudendo e sostenendoci, trasmettendoci energia e gratificandoci.
Fu davvero un esperienza indimenticabile, dove tra noi e la gente si linstaurò un rapporto di scambio reciproco personale. Aria molto densa di emozioni, quella sera...
- Francesco: concordo con Fabio. Il live a Torino fu epocale. Non chiedetemi come abbiamo suonato, non me lo ricorderei, ma l'atmosfera che si creò, il feedback instauratosi col pubblico... davvero magico. Ricordo anche un altro concerto, a Reggio Calabria. Era una situazione surreale, davvero. Suonammo, mi sembra, in una palestra, o in un oratorio, e c'era un sacco di gente. Ma di tutti i tipi. Ricordo ragazzini, persone adulte, anziani, donne di una certa età totalmente vestite di pizzo nero... noi suonammo comunque. Cinquanta minuti secchi. E pensavamo "dio, questi alla fine ci ammazzano". Loro stettero per quasi un ora in religioso silenzio ad ascoltarci. Ed alla fine ci applaudirono fino a far venire giù i muri!!! Che situazione!!! Ci venirono incontro, ci abbracciavano, ci davano cose da mangiare da riportare a casa... dio mio che situazione surreale! Splendidi ricordi, davvero...

- Tutte le liriche dell'Lp sono pregne di erotismo, dalla sottomissione di "Dolore", alla quasi necrofila "Crimine di passione"...
- Tommaso: Mhm, pregne di erotismo, dici? Io volevo sfociare nel pornosoffice! Sul serio, non mi dispiaceva, e credo non ci disdicesse, cantare perverso e morboso, vedi che successo i Tool con "Stinkfist", per dire? La quasi necrofilia di "Crimine di passione"? Sì, però uno dei testi più riusciti, credo, sospesa com'è la canzone tra toni di pura e patetica idiozia ("ragazza", "fidanzato", "roseto", "cattiva azione") e la significanza di totale annerimento, di definitiva inevitabile rovina e chiusura. Erotismo di sottomissione in "Dolore", sì, esattamente, in quanto erotismo di totale dedizione alla ricerca dell'Altra, dell'Alterità dell'essere umano a noi opposto e diverso, impegnato in una sopravvivenza antitetica alla nostra propria e quindi, seppure necessaria, pur sempre esiziale al nostro rigoglioso sviluppo. Erotismo di sottomissione in quanto accettazione cieca ed abnegata dei bisogni dell'altra creatura, ricerca del non-io-non-me, sino quasi alla negazione dell'io-me, in un vortice di conoscenza/sconoscenza da tripudio. Ma il vertice delle liriche di quel lavoro credo sia "Escono il coro e gli attori", parole e sensi stupidi, banalizzazioni volute ma che sono senza dubbio il miglior risultato di associazione musica/parola dei Petali (già lo eravamo, oramai, non più Carillon, nonostante le intestazioni) in un crescendo, io credo, che dal nulla giunge al sublime, come inteso dai filosofi romantici, almeno. Dispiace per "La fiaba", riuscita a metà quella poesiola, non estrinsecato appieno il suo meccanismo a scatole cinesi, un poco Edipo, un poco fabliaux medievale ed un poco raccontino edificante. Non sono riuscito a riannodarlo a sé medesimo e farlo divenire, come avrebbe dovuto essere, una corona.

Capitolo Terzo: RITRATTI DAL VERO
- Ci sono leggende in giro, ovvero che esistano due versioni di questa cassetta, una con 8 brani ed un'altra con 4, intitolata "Capitolo terzo"... tra le altre cose, oltre a degli inediti, c'è una versione splendida, molto più (passatemi il termine) dolce di "RHS" cantata in italiano... perché non includerla in Capitolo IV? Inoltre la maggior parte dei brani sarebbero poi finiti su Capitolo IV... come mai mandarli in giro prima della pubblicazione vera e propria del disco?
- Paolo: Ritratti dal Vero era nulla di più che un provino per il nuovo album. Era registrato nello stesso studio dove avevamo realizzato "Fiori Malsani". Non era ufficiale quindi è andato in giro praticamente da solo. "R H S" era uno dei brani che preferivo in assoluto del nostro repertorio, non lo inserimmo in Capitolo IV perché era già al limite della durata con un brano in più avremmo fatto un doppio che per l'epoca e nella nostra posizione era impensabile. Non ci sono inediti di quelle session. Delle due versioni non mi ricordo, il titolo era solo "Ritratti dal vero".
- Tommaso: è che avevamo preso a titolarla 003, con questo titolo almeno l'ho inviata ad alcuni estimatori che ne fecero richiesta, e poi anche prendemmo a riferirci a quel lavoro con Ritratti dal Vero poiché piuttosto rude, lavoro non prodotto, scaturito
così, quasi registrato in diretta, senza soverchie sovraincisioni, anche se come titolazione farebbe pensare più a registrazione di concerto, cosa che non è. "RHS" per curiosità, significava Religion of the Human Stance, che in un inglese poco anglofono significherebbe Religione della Posizione Umana, ma una volta cantata in italiano "errepiù" non mi piaceva come titolo e rimase il più sonico "erreaccaesse".
- Fabio: entrai in formazione più o meno in questo periodo. Registrammo questo demo che aveva l'unico scopo di servirci come provino per il disco nuovo. So che è girato anche dopo, ma non era una cosa ufficiale. Se lo ascolti bene, anche se la qualità audio non è eccelsa, noterai come molti spunti ottimi siano poi andati persi su Capitolo Quarto. Ma questa è un’altra storia...
- Paolo: in questo periodo ho avuto due esperienze profondamente diverse fra loro e soprattutto dai CdD, una chiamata Cicles Syrius dove ho cantato in tutti i cinque brani che componevano l'Ep, suonato la chitarra su due ed ho curato la produzione per Maurizio Campagna che suonava la chitarra ed aveva composto la musica e i testi insieme a Marco al basso, Ferruccio "ferro" alla batteria e Giancarlo Grevi al mixer. Questo lavoro, purtroppo, pur se a detta di molti validissimo, è rimasto inedito e chissà se in un breve futuro si possa, dopo 20 anni, farlo ascoltare in giro.
L'altra "storia" si chiamava "The Colours" ed era per me, che non ho mai veramente amato la dicoteca, una vera sfida. Eravamo in due Emanuele Luzzi alle tastiere, io alla voce e ai testi con la collaborazione di Lucy ai cori, A. Amati al basso e Giancarlo
Grevi, proprietario dello studio dove avevamo già lavorato alle prime registrazioni dei CdD, al mixer e al drum programming. Eravamo un po' Human League, Un po' Heaven 17, un po' Sylvian del periodo Sakamoto. I testi ce l'avevano su con "l'ambiente" delle discoteche. Abbiamo anche fatto qualche apparizione live in alcuni club romani. Di questo duo conservo una registrazione su 8 piste che doveva essere un demo. Ma poi, io ero ancora parecchio coinvolto con i Petali e così finì anche questa anomala esperienza.

Capitolo Quarto: PETALI DEL CARIGLIONE

- Cambio di formazione e cambio di nome. Nonostante l'album riporti come sottotitolo "Carillon del Dolore", ora il nuovo moniker scelto è Petali del Cariglione. Perché questo cambiamento? In ogni vostro album c'è un "ponte" col passato. E' successo con "Pain", poi divenuta "Dolore", e qui si ripete con "Crimine di passione"... si trattava di necessità di mostrare gli sviluppi oppure una specie di "gancio" con le cose già proposte?
- Tommaso: nonostante i nomi eravamo già Petali in 003, aggiuntosi a noi Fabio Fiorucci alle tastiere, non eccelso musicista, ma grande melodico e perfetto comprensore delle dinamiche con le quali avrebbe potuto, e ci ha, arricchiti, sprofondando ed arabescando le nostre partiture.
- Paolo: il nome è scaturito da un mio sogno: una rosa che perdeva tutti i petali su un carillon che la faceva girare al posto della ballerina...
- Tommaso: nomi che scaturiscono dai sogni! Quando Paolo ci ha raccontato di quel sogno, ho strabuzzato e sono annichilito. Oramai da tempo rimuginavo un nuovo battesimo per la banda, CdD divenuto oramai il nome tabù della nostra fase infante ed ignorante, ignominiosa, da bruttare la quale, come veste della sonica crisalide, potessimo scrollarci di dosso e sciorinare queste ali versicolori da musicante farfalla. Poetastro di Roma, lirico del CdD, demiurgo della frottola e stregone della ciancia, avendo già avocato il primo nome a Sergio Zambon, volevo esser io, nel pieno della mia vanità, a dare nuovo nome, e quindi nuovo destino, a questa creatura fracassona. Ma invece, nella mia qualità di mistagogo e uomomedicina della banda, assunsi con piglio pitico immediatamente la dizione paolina, come Costantino fedele che in hoc signo vinces. Ma il nome medesimo aveva per noi coinvolti tale fascinazione (sto mentendo) che subito noi fummo in Esso ed Esso fu come carne di tutti noi.
- Francesco: sinceramente non ero convintissimo del cambio di nome... è stato un parto difficile. Da lì si decise per il nome "doppio". E comunque è colpa di Tom, heheeh!
- Paolo: la nostra musica continuava a "trasfigurarsi" a velocità supersonica, e con lei anche la nostra attitudine. Da qui gli elementi acidi/psichedelici che già erano parte delle precedenti composizioni si concretizzarono così come le progressioni che raggiunsero l'apoteosi in brani come "La Fiamma" o "Della nascita della differenza". Poi la riproposizione di brani precedenti riarrangiati o come dici tu "ponte col passato" era per noi una cosa naturale, ci piaceva dare una veste diversa ai nostri brani, qui con "Crimine di passione" l’intento è evidente: abbiamo condensato il brano tratto dal primo Ep che più era piaciuto e il risultato è stato, per me che non ho mai amato troppo la prima versione, a dir poco ottimo.

- Ci sarebbero molte domande a questo punto, le butto là a raffica... Famosa è la produzione di Valor in quel disco. Come siete arrivati ad avere lui come produttore ed arrangiatore? Quanto ha influito concretamente nel
vostro modo di fare e registrare musica? Inoltre Nicola Vannini è nei cori, come mai? Amicizia, stima, casualità? E L'artwork? Perché siete arrivati allo scioglimento? Cosa avete fatto dopo?
- Paolo: Valor si accorse di noi perché Francesco della Contempo si trovava in quel periodo a Londra. Venuto in contatto con il chitarrista della formazione americana (che a quel punto stava perdendo la sua icona Rozz Williams, al quale si sarebbe sostituito lo stesso Valor nel ruolo di catante-frontman che, nel bene e nel male ancora ricopre) gli fece ascoltare il nostro demotape Fiori Malsani e poi il resto della nostra produzione, credo che Valor rimase affascinato dalla nostra ecletticità, ma è anche vero che puntava a farsi conoscere di più in Europa dove la sua musica era stata recepita meglio che altrove in particolare in Germania, Francia e Italia.
La "produzione" di Valor in realtà non c'è stata almeno non nel senso completo del termine perché lui arrivò a Roma a registrazioni già iniziate. Poi a causa del penetrante odore delle essenze orientali che usava in dosi massicce (era una vera botta al naso) delle unghie verdi e della sua immagine tutta, il proprietario di quello studio decise che il nostro produttore non poteva toccare il banco di regia, non si fidava. Così sgomentati dalla situazione decidemmo di partire alla volta di Firenze, a quei tempi nostra seconda casa, e finire il lavoro ai GAS Studios dove avevamo già registrato
"Trasfigurazione". Avevamo a disposizione solo la registrazione della batteria quindi Valor a quel punto fece ciò che poté per dare un senso al nostro lavoro già iniziato: si occupò insieme all'instancabile Jack Dedert di far suonare al meglio il nostro disco e di inserire quei suoni cavernosi che si sentono fra un brano e l'altro, poi produsse il grande coro su "Della nascita", al quale partecipò non solo Nicola "Soul Hunter" ma anche tutti noi e altri amici che spesso venivano trovarci in studio fra cui Luisa Mann cantate di un gruppo romano del periodo nonché speaker radiofonica (nonché in seguito moglie del bassista dei Violent Femmes). Valor poi teneva molto al suono della batteria che produsse in modo maniacale con tanto di registrazione del rullante effettuata nel vecchio androne d'ingresso agli studi. Poi mi prestò la sua Stratocaster segata a forma di goccia come una vecchia Vox per gli assoli che si sentono nei vari brani. Credo che per quel che poterono riuscirono a fare un buon lavoro che in fase di missaggio fu una maratona estenuante, ancora ricordo la faccia squagliata di Jack che non finirò mai di ringraziare.
L'idea di dare all'album una doppia copertina ci è venuta perché a quel punto avevamo un doppio nome e anche i vari brani si prestavano ad essere separati in due parti distinte, poi avevamo raccolto dell'ottimo materiale: c'era un quadro del pittore Titus Vossberg che disegna spesso rovine di antiche città immaginarie e le fotografie di mio cugino che rappresentavano immagini della natura in forma onirica. Ci interessava dare alle due parti un senso di fredda immaginazione e di bellezza naturale ma che comunque facesse pensare a immagini del sogno. Tutto ciò prima che io perdessi le preziose diapositive che mio cugino Giorgio Negrin mi aveva gentilmente messo a disposizione. Trattenuto sul bordo di Ponte Vecchio fui riportato alla ragione, così rimase l'idea della doppia copertina e vennero sostituiti i dipinti di Vossberg coi quadri del nostro amico Paolo Cannavale che da lì a poco ci avrebbe lasciato per sempre e le foto di Giorgio con una che rappresentava un fungo allucinogeno beccato da un uccellino messaci a disposizione dal grafico Ale Sordi.
Tutti questi eventi però avevano cominciato a minare la stabilità del gruppo: soprattutto Tom non voleva che il nostro disco avesse suoni troppo "rock" e men che mai "americano" quindi si dissociò dal lavoro e non fu presente ai missaggi. A quel punto però dovevamo finire. Io che ero rimasto a seguire le registrazioni speravo di fargli cambiare idea facendogli ascoltare il lavoro finito ma Tom anche a causa di altri problemi interni che a quel punto eruttarono con tutta la loro potenza decise di lasciare il gruppo a pochi mesi dall'uscita dell'album. Facemmo in tempo a fare qualche concerto insieme tra cui Massenzio '85 del quale gira una registrazione e per un brevissimo periodo, fino al Luglio '86, presi io il suo posto alla voce, mantenendo il ruolo di chitarrista. Senza di lui facemmo anche due serate all'X Club, posto molto in voga a quell'epoca, (nella registrazione di quelle serate ci sono anche 4 brani inediti ma in fase di arrangiamento) e poi senza Tommaso non aveva più senso continuare. Quegli anni passati sempre in simbiosi reciproca non erano solo stati musica fatta insieme, quindi, anche l'aspetto emotivo aveva avuto un ruolo determinante. Così benché tutti fossimo dispiaciuti, a parte i Contempo i quali avevano riposto in noi parecchia fiducia e speranza, che erano un bel po' incazzati, ponemmo la parola fine a quella bella avventura.
- Tommaso: amo i veleni, vorrei sputarne un poco! Famosa la produzione di Valor. ah, l'I****e produzione di quell'i******* Valor. Ah, Valor, maledetto c**e americano, sprovveduti a Contempo che spesero mille dollari mille del 1984 affinché quell'essere i*****o ci si aggrappasse sulle spalle per morderci alle midolla e privarci delle forze.
Non un musicista.
Non un ingegnere del suono.
Non un amico.
Non un confidente.
Non un consigliere.
Tantomeno una bella persona.
Bensì un sfottuto ubriacone di birre economiche.
Un grande fanfarone ("So suonare il violino". "Ce lo suoni in un pezzo?". "Sì, però domani…" e poi domani…  e poi domani…).
Una persona di scarsissima igiene personale.
Un piccolo invidioso malpensante avido ed avaro.
Ma insomma pure noi Petali, che abbiamo accettato questo a*******e statunitense, capace solo di militare in una banda chiamata la "Morte Cristiana", ficcasse le sue manacce con il sotto-unghie perennemente sporco nella religiosità del nostro invasamento.
Bisognavamo di una guida, ma ne sapeva meno di noi. Avevamo bisogno di un orecchio attento, avevamo bisogno di un esempio, da lui non avrei imparato nemmeno a traviarmi, figuriamoci l'elevazione! Non ha capito la nostra musica. Non sapeva nulla di tecniche di registrazione e qui sovveniva "l'instancabile Jack Dedert". Questa coppia macerava ogni nostro sforzo, quando deridevano i miei avvisi per un fuori tempo di batteria od una stonatura di voce "Go ahaed man, 't's a'right"... eludenti qualsiasi richiesta di prestare attenzione all'estetica di una scelta, alla forma di un'onda sonora, alla risposta di un sistema dolby, ecc... ecc...
Noi avevamo l'ispirazione e Madre Musica ci proteggeva, lo dico con tutta la vanagloria con la quale posso gonfiare il mio petto. Noi maestri di differenza siamo divenuti epigoni di uguaglianza. Noi folletti alla stregua di catene di montaggio. Hanno così dilapidato il prezioso tempo pagato dalla Contempo in sala di registrazione. Siamo arrivati al punto che, dopo 30 (dico trenta) ore dedicate alla registrazione delle chitarre e tastiere (e lo dico onorando Paolo e Fabio, gli unici promuovibili di tutta la creazione ed il parto del disco) mi sono risvegliato, non so arrivatoci come, alle otto di un mattino, con la testa nella grancassa della batteria e sono stato messo a cantare 45 minuti di disco tutti di seguito! Io! Beniamino Gigli in persona! Con la mia tecnica! Avevo bisogno di benestare e tempo: avevo
bisogno di un magister il quale mi prendesse per mano e mi guidasse. Ho dovuto cantare senza ispirazione, con l'emicrania e la tosse! "Non c'è tempo, non si poteva fare altro!" mi hanno detto, ma è che Valor doveva partirsene per l'America e voleva finissimo le registrazioni. Io ho pregato i Petali di fermarci, tornare indietro, rifare alcune cose a nostre spese. Ma loro (l'ispirazione è fatta anche di eccessi di vuoto oltre che di eccessi di pieno) erano convinti della bontà del lavoro: non udivano i fuori tempo, sottovalutavano le stonature, ma soprattutto non hanno avuto rispetto della mia voce la quale (sono o non sono un Beniamino Gigli redivivo?) non ha potuto cantare come avrebbe potuto. Questioni di sfumature, questioni di poco, ancora non ero in grado di essere cantato dalla voce, ogni tanto cantavo io la voce ma, in occasione di quella registrazione, ho veramente dato il peggio di me. Ma quella musica ero anche io e ci hanno azzittiti insieme.
Non esistono gli altri motivi interni addotti da Paolo, io ero ancora lontano dal raggiungere la mia voce (così come anche la sezione ritmica brancolava nel mio medesimo buio) e loro non mi hanno atteso. Hanno creduto che i Petali fossero meglio senza di me. Quando per celia, per ottenere la loro attenzione, ho affermato di non poter continuare con loro mi hanno fatto capire poter benissimo continuare senza di me. Che bello sputare il veleno!
- Fabio: concordo pienamente con chi ritiene "Capitolo IV" un album deludente. Lo è. E la causa maggiore di tale risultato è stata la scelta di Valor come produttore. Scelta che facemmo su consiglio velatamente forzato della Contempo che probabilmente credeva di portare, con il suo nome sul disco, un po' di pubblicità in più. La cosa invece ci portò allo scioglimento... metà disco era già stato completato, avevamo le parti di basso e batteria già completate in uno studio di Roma, quando venne presa la decisione della produzione del Sig. Kand. Le cose andarono male già dall'inizio dato che Stefano non poteva spostarsi, al momento. Valor non ne volle sapere, cancellò le parti di batteria e tenne quelle di basso, sovraincidendo le percussioni sulla base delle quattro corde già finita. Per questo ci sono variate stecche, fuoritempo e, soprattutto, manca il groove di una band vera.
Il mixaggio fu pure una vera e propria tragedia. Ero convinto che lui, che sembrava molto più grande di noi (in realtà era coetaneo, solo tenuto peggio... N.d.Max) ci potesse aiutare ma non ne capiva nulla. Molte cose interessanti si persero e furono cancellate o nascoste dalla produzione. Fu davvero deludente sentire il master finale... Tutti noi ci contavamo molto, anche se c'erano diverse linee di pensiero... Io e Tommaso tendevamo verso un certo tipo di lirismo italiano, puntando l'attenzione sulle melodie e sul classicismo. L'influenza inglese della new wave era già di Paolo, quindi eravamo già bilanciati a sufficienza… Ma volevano trasformarci in tutt'altro! Ero totalmente in disaccordo con ogni cosa che proponeva il Sig. Kand, ma sai... era una di quelle situazioni in cui le voluttà estetiche presero il sopravvento sulla vera natura della propria arte, sulle proprie aspirazioni e sentimenti. E finì così, purtroppo.
Dopo il Cariglione volevo ancora suonare e per un certo periodo di anni feci parte degli "Accanto" con Vladimir Luxuria, leader dell'Associazione gay a Roma. Suonammo parecchio in zona, avevamo un repertorio nostro che era valido, ma anche lì, quando cominciarono ad aprirsi degli sbocchi interessanti, arrivammo allo sciogliemmo per svariati motivi. In seguito il lavoro e delle problematiche personali mi hanno allontanato dalla musica "attiva e suonata" anche se spesso a casa incido per conto mio con Cubase. Perlomeno quando la mia professione di insegnante me lo permette...
- Francesco: se devo dire la mia, credo che a posteriori sia mancata una "testa" che ci aiutasse a tener conto degli aspetti discografici, qualcuno che riuscisse a sfruttare le nostre potenzialità con calma, una guida. Avevamo delle enormi lacune tecnico-compositive ma una miriade di idee davvero buone. Bastava solo che qualcuno ci prendesse e tirasse fuori il meglio di noi.
Questo non successe ed, anzi, si incrinarono alcuni equilibri che erano fondamentali. Un gruppo come noi era anomalo, perlomeno paragonato ad un combo prettamente "rock". Basavamo tutto sulla libertà, dove libertà era il relazionarsi con una persona liberi da ogni freno mentale, una libertà umana che nutrita portasse all'Arte. Libertà di scegliere cosa e come farlo, senza imposizioni. Non ci sentivamo più liberi di esprimere ciò che realmente eravamo. E il castello crollò.
- Paolo: con il senno di poi si può dire che è mancato qualcuno che ci seguisse davvero e che ci consigliasse... eravamo giovani e presuntuosi, insomma due ceffoni per farci tacere ci sarebbero stati bene. AMEN.
- Stefano: giovani e presuntuosi, prime donne o prime ballerine, era difficile opporsi a decisioni gia decise, mediare tra regista e protagonista, e certo noi poveri attori di quel teatro non abbiamo saputo vedere attraverso quel vetro sporco e oleoso di Valor che ci ha trascinati verso il declino. Ah! Se avessimo saputo ascoltare! Tommaso aveva capito e provato a riportarci indietro, dove avevamo cominciato. Ma la cecità e sordità nostra infine è prevalsa sul buon senso e screditato quel "qualcuno" che pure avevamo ed era parte di noi, per quel miserabile che tanto bene ha descritto il buon Tommaso. Ahimè! Questo è un rimpianto. Avevamo tutte le carte in regola per sfornare un ottimo prodotto dal nostro magnifico altoforno e l'abbiamo lasciato minare alla base da un perfetto incompetente, mediocre-sporco-i****a-di-un-americano! 

APPENDICE 1 : MORTI CRISTIANE?
- Paolo, nessuno sa che tu hai suonato anche con i Christian Death in una tournée europea. Nemmeno nelle biografie ufficiali della band è segnalato. Vuoi raccontarci qualcosa a riguardo? Come funzionò il tutto? E perché la cosa è così "nascosta"? Cosa ti ha lasciato quest'esperienza?
- Paolo:
dopo lo scioglimento dei Petali io volevo continuare a suonare. Mentre ero alla ricerca di una nuova strada ricevetti la chiamata di Valor che, invece, era alla ricerca di un nuovo chitarrista per la sua band da riformare dopo gli abbandoni di Rozz e, a ruota, di Barry il chitarrista prima e del bassista (del quale non ricordo il nome) poi. Accettai subito e partii per Londra dove in quel periodo avevano la loro base. Lì incontrai Kota, simpatico bassista giapponese, con il quale vissi per quasi tutto il periodo londinese. Per il resto ero ospite in casa Kand e vivere con loro mi ha fatto scoprire il meglio di Gitane DeMone, della quale ho il bellissimo ricordo di donna sensibile e molto intelligente, una vera artista oltre che una amica anche se limitatamente al breve periodo passato con loro.
Abbiamo fatto insieme il tour europeo 1986 quello di "Artocities", siamo stati in Olanda, Inghilterra, Germania, Francia. A Parigi insieme agli Psychic TV e in albergo con la gradita compagnia dei Virgin Prunes, a Bonn con Siouxsie and the Banshees, il tour inglese con i Fields of the Nephilim, a Londra con i Living in Texas (uno dei miei gruppi preferiti all'epoca) in una serata intitolata "Carnival of atrocities fair" tenutasi all'Electric Ballroom di Camden Town, dove c'erano sei gruppi ad esibirsi ed i Christian Death erano gli headliners. Sembrava proprio una fiera delle atrocità con tanto di bancarelle... Valor teneva molto a quella serata, che pubblicizzò in modo massiccio con grandi posters fosforescenti, e poi c'erano i discografici della Beggars Banquet, i quali scritturarono invece i Fields, probabilmente perché erano inglesi, nonostante il nostro live-set fosse davvero bello da sentire e da vedere. Questo tour europeo però non ha toccato l'Italia ecco perché magari qui non siete in tanti a sapere di questa mia bella, ma in parte intricata, esperienza durata in tutto quattro mesi. Non ho mai inciso nulla con loro e questo forse è il motivo per cui il mio nome non compare nelle loro biografie. Mi chiese di far parte della formazione in pianta stabile e la cosa mi alettò, perché
comunque mi divertivo a girare per l'Europa, solo che avevo dei problemi col passaporto ed il visto per gli U.S.A. mi arrivò un po' tardi. Appena lo ricevetti, comunque, lo chiamai, ma mi disse che non gli servivo più, che non si fidava più e cose simili. Da una parte mi dispiacque un po', i tour mi piacevano. Ma col senno di poi è stato anche un bene. Non avrei potuto vivere le esperienze che ho avuto dopo...

- Valor è conosciuto come una specie di despota, egoista e senza vero talento... che ci dite sulla base della vostra esperienza?
- Paolo:
quando suonavo con i Gronge nel 1991 abbiamo fatto un tour italiano di cinque date insieme: noi aprivamo per loro che avevano appena pubblicato "All the love / All the hate". La data romana saltò, Valor si precipitò a Londra perché volevano togliergli la patria podestà sul figlio Sevan a causa della canzone "I hate you" che il piccolo cantava sul suo disco. Quindi niente segreti ma circostanze. Di Valor ti posso solo dire che ha
usato troppo il cliché dark, non volendo scontentare il suo pubblico. Questo sacrifica la sua presunta creatività che invece è impegnata nella cura dell'immagine di se stesso.
- Fabio: io posso solo dire che dopo aver passato un mese assieme per il disco gli mandai un'intervista che mi sarebbe servita per raccogliere qualche soldo. Alla fine, in teoria, era comunque una persona che nel bene e nel male aveva lavorato con me. Non ho mai ricevuto risposta. Mai. Capisci il tipo, credo, no?

APPENDICE 2 : APPUNTI DEL DOMANI
- Che effetto vi fa oggi, a distanza di vent’anni, sapere che ci sono ragazzini che non erano ancora nati quando registraste "Trasfigurazione" che ascoltano ed amano la vostra musica? Vi sareste mai aspettati un seguito di culto così prolungato nel tempo?
- Paolo:
ovviamente ci fa piacere sapere che c'è ancora interesse per quello che abbiamo fatto. Soprattutto perché la nostra musica era, ed è, ancora inusuale quindi la cosa ci ha colto di sorpresa ancora una volta. Per noi è sempre stato così: chi si sperticava in critiche sublimi e chi ci "slappava" senza pietà prendendoci anche per il culo: "Il super dark incontra il super kistch".
- Tommaso: so che è soprattutto Carillon Del Dolore a richiamare l'attenzione dei bambini e non i Petali, come meriterebbero. Ma meglio l'oblio per questa sfortunata avventura, incompiuta com'è ogni testimonianza rimasta. Se i bambini oggi s'ascoltano quella roba, mi sembra evidente, è perché la droga non è più buona come ai tempi nostri.
- Fabio: mi gratifica molto! Si vede che c'è gente che sa ancora apprezzare le buone cose. Sono tutt'oggi convinto che i nostri brani fossero davvero, a prescindere dai gusti, diversi ed originali.
- Stefano: davvero bizzarra come cosa! Ad essere sincero mai avrei creduto che ci fosse ancora qualcuno alla ricerca di certe sonorità e che ne traesse piacere! Quand’anche io volessi immergermi in quelle atmosfere, oggi, ne trarrei soltanto un ricordo, che, per quanto buono, non mi darebbe lo stesso piacere che ho ascoltando altro.
- Francesco: è davvero bello sapere di aver fatto qualcosa che per qualcuno ha ancora significato a distanza di anni. Mi capita a volte di venire in contatto con persone nell'ambito discografico che devono rapportarsi con me per ciò che sono oggi (un produttore) ma che non riescono a dimenticare il mio passato. E se da una parte a volte risulta spiazzante, dall'altra non posso che convincermi che quello che abbiamo fatto insieme non è stata una perdita di tempo, anzi...

- Oggi, domando un parere sulla vostra musica ad un campione di persone, c'è sempre una spaccatura tra chi la ama e chi non la sopporta... niente vie di mezzo, insomma. Quando uscì le critiche com'erano?
- Tommaso: con vanità lo reputo un evidente sintomo della liturgicità, dell'aura sacrale quale comunque quella musica profonde. Come un culto o ti cattura o ti esclude. Ritengo sia un indizio che eravamo sulla buona strada.

- Avete vissuto negli anni in cui la coldwave, il dark, la new wave (insomma, chiamiamola come vi pare) muovevano i primi veri passi nella storia della musica. Ricordi qualche evento particolare di quegli anni? A noi "postumi" sono arrivati sempre racconti di concerti "mitici" di Siouxsie a Bologna nell'84, Xmal Deutschland e Einsturzende Neubauten nei primissimi '80 a Roma in un locale di Renato Zero... Insomma, quanto dell'immaginario postumo è realtà e quanto mito, secondo voi? Era davvero tutto così "dark" sempre e comunque?
- Paolo:
della scena romana (fra il 1980 e il 1982) ho parlato un po' più su ma c'è stato un altro evento oltre i concerti all'Isola Tiberina che vale la pena ricordare: una bellissima serata al teatro Belli in Trastevere dove suonarono Style Sindrome, Illogico, Videozona. Poi nel 1982 i Cult ed i Virgin Prunes, i Lords of the New Church al Mattatoio in una memorabile rassegna, spesso funestata da incursioni violente di una banda di
punk che si facevano chiamare LOS... I Killing Joke al Much More nell'81... Gli SPK in una chiesa sconsacrata a corso Vittorio... I Bahuaus prima a Bologna con i Chrome (altri tra i miei preferiti) e poi a Roma in un concerto breve ma memorabile. Potrei non finire più! Gli Einsturzende Neubaten invece suonarono al Teatro Spazio Zero (dove ha anche suonato, sempre nello stesso periodo, Diamanda Galas che mi impressionò notevolmente) ma non credo fosse di Renato Zero...ah, ah, ah! Più che dark ovunque, si respirava un'aria di intensa creatività dappertutto e poi c'era un numero limitato di persone tra punk, dark, "new wavers" che si incontravano negli stessi posti e quindi tutti vestiti di nero. A Roma c'era il mitico Uonna Club, della musica a palla e delle risse con le bande di bikers, sempre con la musica a palla, e delle salette riservate a punk e skin con i dark nel mezzo... Infine c'era il Blue Bar a corso Vittorio Emanuele su Piazza della Chiesa Nuova: in alcune sere dell'1982 arrivavano ad esserci fino a due, trecento persone che si riconoscevano per i vestiti e per i capelli.

Appendice 3: DOPO L'ATTO CATTIVO
- Non ho avuto occasione di ascoltare nulla dei Fando e Lis, vuoi parlarcene?
- Paolo:
i Fando e Lis erano: Max di Loreto: batteria; Luca "Zombie" Savagnone: basso elettrico; Paolo T: voci e chitarre; Julian Adamoli: organo; Alessandra Broccolino: luci e dipositive; Andrea Pucci: prestigiatore.
Tornato dal tour con i Christian Death, interrotto per miei problemi, cominciai a suonare con due amici dei tempi della scuola, Max e Luca, nel Settembre dell'86. La nostra musica era fresca ed immediata, facevamo canzoni che si potevano anche suonare in giardino con la chitarra acustica, ma quando le suonavamo insieme erano acide, ruvide, veloci come un pezzo punk ma dense di improvvisazioni. Lasciavamo apposta delle parti non definite, a volte anche nel testo, per poterle stravolgere di sera in sera. Poi dal vivo proiettavamo diapositive di Diane Arbus e qualche volta ci ha accompagnato Andrea, un illusionista che faceva giochi di prestigio durante il concerto. La musica che ascoltavamo in quel periodo, oltre a quella del passato, era: Butthole Surfers, Swans, That Petrol Emotion, Sonic Youth, i primi Public Enemy, i Beastie Boys e ancora e ancora via, via dicendo.
Da sempre sono stato appassionato di cinema e fumetti e quindi conosco bene l'universo surreale ed esoterico di Alejandro Jodorowsky e del movimento Panico, dal quale ho tratto ispirazione per il nome di questo gruppo, prendendolo da un suo film e da una pièce teatrale di Arrabal. Abbiamo fatto quaranta concerti in poco più di un anno solo a Roma dove si stavano occupando diversi spazi abbandonati che sarebbero diventati centri sociali i quali, anche con tutti i limiti tecnici e organizzativi che avevano, davano l'opportunità di suonare. Era un'esperienza completamente diversa da quella che avevo avuto con i Christian Death con i quali suonavo quasi sempre in discoteche dove, a volte, con la nostra musica producevamo un fuggi fuggi generale. Qui invece anche se non conoscevano la tua musica stavano ad ascoltare e per quanto ci riguardava, dopo qualche pezzo, erano "nostri".
I centri sociali, fra i tanti meriti, hanno quello di aver permesso a tutti di salire su un palco ed esprimersi, quindi hanno aumentato le possibilità di proporsi per i gruppi emergenti e non, anche se a volte proprio per i limiti tecnici era una vera impresa suonare. Noi eravamo potenti, fighi e siamo stati come un fiammifero appena sfregato...
Di questa band posseggo una registrazione live di buona qualità che usavamo come demotape di presentazione, dove eseguivamo "Arnold Layne" dei Pink Floyd di Syd Barrett e "Needle in the camel eye" di Brian Eno.
Quanto ai Gronge, che avevamo incontrato diverse volte nei nostri ricorrenti spettacoli, mi chiamarono (manco glielo avesse detto qualcuno che i Fando & Lis erano appena finiti) perché erano alla ricerca di un chitarrista: era la fine del Maggio 1988.

- "Gronge" è un nome che ha fatto la storia di un certo tipo di musica in Italia. Vuoi parlarci della tua esperienza con loro? Dischi, concerti, curiosità. Conosco bene "Teknopunkcabaret" che per me è stato un album geniale, pieno di spunti su cui costruire un ottimo futuro: perché la decisione di interrompere il progetto?
- Paolo:
i Gronge... quando mi unii a loro erano insieme da tre anni ed avevano già prodotto un demo, un album ed uno split a metà con i Move. Avevano fatto un tour in Olanda, in Francia e suonato nel giro dei centri sociali italiani, stavano diventando una realtà nel panorama della musica sperimentale, industriale, punk, alternative, noise in Italia. Questa incatalogabilità ci ha accompagnato sempre creandoci a volte dei problemi.
I Gronge erano estremi in tutto e poco avevano a che fare con altri gruppi italiani che avevo avuto modo di conoscere in quel periodo: disponibili, folli, pronti a tutto. Io ero da poco tornato dalla mia esperienza in giro per l'Europa con i Christian Death e vedevo in loro tutte le caratteristiche di una band nordeuropea e la loro attitudine a dir poco selvaggia, fatta di grandi sbronze, e vulcaniche, nel senso letterale, session, mi risucchiarono subito.
Insieme a me accettarono anche Max, valido batterista, percussionista, bassista, che ancora mi accompagna nella mia attuale avventura musicale. La nostra intesa fu immediata, un colpo di fulmine che ha prodotto, nel giro di tre mesi, dopo dense sessioni di prova, un primo eccellente disco, "A Claudio Villa (original sound)", del quale finimmo le registrazioni nel novembre '88. Se i Carillon del Dolore erano maniaci della sala prove qui si arrivava al masochismo, alla privazione quasi totale del mondo esterno. In quel periodo eravamo in dodici fra percussioni metalliche tipo termosifoni, lamiere, molle e tubi sia per percuotere che da usare come strumenti a fiato (c'è un assolo di "tubo" ad opera di Fabrizio "Trick" Sibilia nel brano "Città assediata" contenuto in "A Claudio Villa"). Poi ancora percussioni, batteria, basso, tastiere, chitarra, violino, sax, ballerine, tecnici delle luci e del suono. Con questa formazione abbiamo fatto un concerto memorabile a Roma in una "geo" tenda chiamata "Euritmia" e abbiamo girato il nostro primo video clip in 16mm tratto dalla title track dell'album. Intanto "A Claudio Villa" era bloccato per problemi fra distributore ed etichetta, finché una nostra energica incursione negli uffici e l'intervento della Wide Records di Pisa non risolsero la questione e così, dopo quasi due anni, "A Claudio Villa (original sound)" fu pubblicato. Eravamo nel 1990.
Con i Gronge ho fatto numerosi concerti su e giù per l'Italia e, chi ci ha visto, sono sicuro, è rimasto impressionato dalla musica come dalle luci, dalle diapositive e dai costumi. Le persone di quel gruppo, fin dagli esordi, andavano e venivano e tutti lasciavano un'impronta indelebile, siamo stati: Marco Bedini (batteria, voce, percussioni), Tiziana Lo Conte (voce), Alessandro Bedini (nastri, suono), Sandro Denni (tastiere assortite), Pierfelice Finocchi (basso, strumenti etnici, chitarra), P.T. (chitarre, voce, basso), Max di Loreto (batteria, percussioni, basso), Fabrizio "Trick" Sibilia (percussioni metalliche), Inke Kull (sax, violino), Alby Mattaroccia (live mix & mama tapes), Roberta Strano e Patrizia di Meo (light show), Davide Manelli (cinepresa e luci), Antonella Domenici, Fabrizio Parenti (performers), Alberto Guerrieri (luci) e Mario Belloni (voce). Prima di me Michele Frammolini (chitarra) e Enzo Caruso (basso). Questa impostazione di "gruppo aperto" favoriva la creatività e i cambiamenti, ma anche scazzi colossali e suonate senza fine. C'è successo una volta che Piero, il nostro bassista, si rompesse un dito la sera prima di partire per un tour nel nord est... Ovviamente partimmo lo stesso con un bassista in meno e un performer in più, che era Luca Guelpa, e con la grande capacità di Marco Bedini nel creare entusiasmo e proporre canovacci sui quali muoversi. Era un periodo che avevamo in formazione basso, chitarra, basi e due cantanti, penso che chiunque, con una formazione così ridotta all'osso, se ne sarebbe rimasto a casa... invece noi, oltre a divertirci come dei pazzi, sconvolgemmo letteralmente gli avventori di un posto chiamato "La Riva" vicino a Bassano del Grappa e le altre performance furono gioielli di improvvisazione. Sempre in quel periodo tenemmo un concerto all'Auditorium della RAI, insieme agli Afa già En Manque D'autre con i quali ci capitò spesso di dividere il palco (ciao Taver, Fiore, Attilio, Namo, Max!) per il programma "Planet Rock": i Gronge alla radio e a diffusione nazionale!!! Non erano tante le band che a quel tempo avevano avuto una tale opportunità, men che meno estremisti del suono e della parola come eravamo noi.
Non perdemmo l'occasione di farci sentire anche per quello che, politicamente, rappresentavamo. Più o meno a metà di un concerto che stava andando bene Marco lanciò una sacrosanta invettiva contro Bossi e il suo letamaio a quei tempi in ascesa (credo che fosse periodo elettorale). Risultato: concerto bruscamente interrotto con motivazioni del tipo "I vicini si sono lamentati...".
La nostra intensa attività ha prodotto, tra l'altro, tre video clip premiati in varie rassegne e un album che non siamo riusciti mai a pubblicare intitolato "XXX Cremone gigante per soli adulti" rimasto inedito perché a suo tempo (1990) si diede la precedenza a "A Claudio Villa" che era pronto da quasi due anni. Un peccato perché raggiungemmo uno dei nostri apici creativi, dopo diversi tour (fra i quali uno in Svizzera) e la nostra partecipazione, insieme a Onda Rossa Posse ed altri, alla colonna sonora dell'Occupazione dell'Università di Roma. Seguirono infinite session di prova, infine in studio con la nostra migliore formazione: pezzi di ferro, violino, sax, campionatore, nastri, basso, chitarra, batteria, clarinetto suonato da Sandro Denni che scrisse ed arrangiò la partitura di un brano per tromba, trombone e sax, un'intera sessione di fiati, per uno dei pezzi più originali dell'intera produzione del gruppo. Un'esperienza di una intensità enorme. Anche noi come Carillon Del Dolore amavamo riproporre in veste diversa alcuni nostri brani e su questo album c'era la terza versione di "Walter", "Dio è 3 poeti" e "Metropoli" che, in versione ancora diversa, finirono in "Tecnopunkabaret". Tutto ciò culminò con il rogo della nostra sala prove...
Dopo questo, ancora una volta, chiunque avrebbe mollato, ma come un'araba fenice ormai uniti da indissolubile fratellanza, che ancora in qualche modo dura, ci rimettemmo al lavoro cambiando sala prove e sonorità. Si unì a noi Pierfelice Finocchi, polistrumentista di strumenti etnici a corda e fiato fra i più disparati, oltre che chitarrista e bassista. La nostra collaborazione con Piero produsse due lavori: l'Ep "Vota Gronge"
e l'ultimo "Tecnopunkabaret" ricco di spunti etnici ed elettronici, con i testi di Marco sempre più maturi, e la voce di Tiziana sempre più lirica e capace di afferrare le melodie più bislacche. Girammo anche altri due videoclip: "Karin B." tratto da "Vota Gronge" e "Il pugile sentimentale" da "Tecnopunkabaret". Questi clip erano interamente prodotti da noi in un gruppo di lavoro diciamo "corale" dove Marco Bedini lanciava l'idea di base, Antonella Domenici si occupava di edizione, fotografia e altre mansioni, Letizia Palamara in particolare curava i costumi, Laura Barberini il montaggio, la casa e vari "sbattimenti". Per il primo video avevamo Davide Manelli alla macchina da presa, Luca "Gues" Guelpa ha disegnato le sculture delle marionette (che poi ha modellato insieme a Laura e Antonella) e della maschera di "A Claudio Villa". Poi ancora concerti dalle dolomiti a Scordia (Sicilia). Con il nostro ultimo lavoro del 1993 eravamo arrivati ad avere la distribuzione a cura della WEA, quindi la nostra visibilità a quel punto era in espansione e ricca di possibilità... Invece i Gronge erano stanchi, logorati da un enorme impegno fatto di prove infinite, tour al limite della sopportazione per vari disagi, scazzi e incomprensioni di mera natura musicale e di una creatività esplosiva, purtroppo, a quel punto, ancora non ripagata giustamente.
Io uscii dal gruppo, dopo la nascita di mio figlio, insieme a Marco e Sandro. Per un po' smisi di fare e di ascoltare musica, mentre una parte del gruppo, che comprendeva Tiziana sempre alla voce, Max di Loreto al basso, Piero alla chitarra, Sandro Denni alle basi elettroniche, Alberto "Alby" Mattaroccia al mixer e l'immancabile Massimo Prudente nostro manager fin quasi dall’inizio (diventato ormai parte della banda) continuarono a girare l'italia facendo concerti, fino ad un estremo rimaneggiamento dell'organico in quello che ora si fa chiamare "Zu": sempre Tiziana alla voce, capace di cantare su ritmi e melodie stavolta davvero impossibili, Massimo, Jacopo, Luca e Alby autori di ottime performance.
Per chi vuole saperne di più sui GRonge si può collegare su
www.artierumori.it e cercare informazioni.

- Paolo, tra la fine dei Gronge ed i Fando e Lis ci sono alcuni anni di "vuoto" artistico, perlomeno pubblico. Come mai questa sosta? Cosa hai fatto nel frattempo, artisticamente parlando?
- Paolo:
dopo i Gronge ho collaborato con Alessandro Rolfi che mi ha aiutato a registrare dei brani che avevo composto appena dopo l'abbandono del gruppo. Nel '95 ho prodotto e suonato la chitarra su tre brani dei Move con il cantante autore dei testi Marcello Blasi (dei Move), il batterista degli A10 Pippo Pasquini, un tastierista e il bassista Maurizio "Cicoria" Bozao (anche lui già nei Move) in una formazione denominata "Dzunum". Dopo ho cantato in un brano di Roby J. C. Colella apparso sul Cd "Bossa Super Nova" del 2000.
Attualmente porto avanti la mia collaborazione più che decennale con Max Di Loreto e da un anno con il bassista Adriano Vasta già con Luxfero e Passage 4, in una formazione, già in precedenza chiamata Laludo, che comprendeva Romano Pasquini degli A10 al basso. Suoniamo brani composti da noi alternati ad improvvisazioni selvagge.

- Francesco, so che anche tu, come Paolo, sei rimasto attivo nel campo musicale anche se ricoprendo ruoli diversi ed in generi diversi. Come hai metabolizzato l'esperienza dei Carillon e come hai portato avanti il discorso personale con la musica?
- Francesco:
dopo lo scioglimento dei Petali Del Cariglione si è fatta man mano largo in me l'idea di aprire una strada che potesse dare alle persone la possibilità di espressione artistica in maniera più semplice. Non dico di esimerle dalle problematiche
quotidiane, ma perlomeno di non essere a zero. Ho vissuto nei primi anni '90 tra New York e Los Angeles e la situazione era molto diversa, perlomeno nel campo in cui lavoro io, ovvero la musica black. Sono un talent scout, per prima cosa, e se avevi della gente valida potevi tentare di investirci sopra e dargli la possibilità di esprimersi. Qua è molto, molto diverso. Posso trovare il rapper più valido del pianeta, che mi scrive testi intelligenti e tutto quello che vuoi, ma se per campare deve andare da McDonalds a friggere le patatine tutto il giorno è ovvio che poi alla sera il suo lato artistico è in ferie, perché l'unica cosa che vorrà fare è tornare a casa, stanco, buttarsi sul divano e farsi spappolare dalla tv. E questo vale per tutti i generi musicali, motivo per cui in Italia è molto, molto difficile riuscire ad emergere con prodotti buoni, perché spesso i veri talenti sono uccisi prima di cominciare e le entrate sono comunque scarse. Io ho cominciato davvero da zero, con uno scantinato sotto la metropolitana... poi, poco alla volta, con mille sacrifici, mi sono costruito un piccolo studio, e da lì ho cominciato. Ho prodotto Neffa, Articolo 31, Sottotono ed altra gente che è andata bene. Eppure sono sempre in rosso.
- Ma come?!
- Francesco:
essì. Un po' perché ogni volta che ho delle entrate le reinvesto subito in altri artisti minori che vorrei avessero il successo che meritano, un po' perché il Cd non vende, perlomeno non quanto dovrebbe. Ad esempio gli Articolo 31 al "Festivalbar" di cui 2/3 abbondanti venduti per strada piratati sono entrate perse per me. E se son
perse per me, sono perse per tutti i piccoli artisti che lavorano con me e che sono quindi costretti ad avere altri posti di lavoro per vivere, sacrificando la propria arte alla sopravvivenza. Al momento ho molta fiducia in Blu, una ragazza molto brava che suona musica rockeggiante, diversa quindi da quella che produco di solito. Speriamo che le vada tutto bene... Se siete curiosi, passate a trovarmi sul sito web: www.l9records.com

Appendice 4: ULTIME CIANCIE
- I vostri lavori sono di difficile reperibilità. Escludendo "Capitolo IV" di cui circolano ancora alcune copie in vinile (molte meno in musicassetta) e delle carissime stampe di "Trasfigurazione" (1.500 copie in vinile nero, 500 trasparente) il resto della vostra discografia è introvabile, se non in maniera "illegale" o a prezzi elevatissimi. Inoltre non esiste una ristampa su Cd... avete mai pensato di ristamparli? Dimmi se mi sbaglio, ma mi sembra che "Trasfigurazione" sia uno dei pochi album per la Contempo che siano stati ristampati a distanza di poco tempo (mi riferisco all'edizione viola/bianco vinile trasparente in 500 copie). Come mai fu fatta questa scelta all'epoca?

- Tommaso: sere fa, settembre 2004, sono andato ad un concertino in provincia di Pordenone, suonavano, non so, non ricordo, forse si chiamavano Prozac Cell e Soft Plus, o forse Cell Soft e Plus Prozac, ma non importa... insomma, a lato del palco c'erano questi banchi di venditori di vinili ed io mi sono messo a scorrere le copertine dei dischi italiani di musica progressiva e, tra i Paride, gli Stereo Quattro e i Pierrot Lunaire, ho reperito una copia lucida e patinatissima di "Capitolo IV" del defuntissimo Petali Del Cariglione: costava, ehm, 40,00 Euro!!!
- Paolo: discorso ristampe... ci stiamo pensando. Non comprate da chi vende in rete perché la qualità è pessima. La ristampa in 500 copie fu un'iniziativa di Contempo che non ce ne diede neanche una copia...

- Sicuramente esistono dei brani inediti sia dei Petali che dei Carillon. Ho la fortuna di avere una registrazione live per ogni formazione (Teatro Espero Roma 11.02.84, Teatro Massenzio Roma 27.07.1985) ed in entrambe c'è un inedito. Ne esistono altri? E video promozionali o live?
- Paolo:
no non c'è altro, nessun inedito in studio se non delle versioni fatte in sala prove di brani lasciati a metà. Anche se c'è una versione di "A kind of love" nelle session di "Trasfigurazione" nei master.

- In questi anni, causa carenza di informazioni ufficiali, sono circolate le storie più assurde sul conto degli ex-Carillon Del Dolore: tu eri comunque l'unico sopravvissuto a incidenti stradali, riti satanici, overdose, suicidi... che mi dici a riguardo?
- Paolo:
per quanto riguarda la leggenda... siamo tutti abbastanza vivi... Questa poi!

- I Bohemien, vecchio gruppo di Roma che fece ottime cose nei primi anni '80, si sono riformati di recente riscuotendo un ottimo successo di critica e pubblico, segno che la buona musica non ha tempo. Non hai mai pensato ad una reunion con Carillon Del Dolore anche solo per qualche concerto?
- Paolo:
anche noi abbiamo provato a fare qualcosa due/tre anni fa ma non era il momento giusto. Siamo ancora tutti in contatto e in amicizia quindi...
- Francesco: mai dire mai. Non lo escluderei...

- Le ultime parole sono per voi. Grazie per la disponibilità!!
- Francesco, Tommaso, Stefano, Fabio: è stato davvero bello fare questo viaggio nel passato, grazie di cuore a tutti!
- Paolo: colgo l'occasione per ringraziare TUTTI quelli che hanno suonato e collaborato con me negli anni (anche quelli che qui non sono nominati) tra i quali Massimo Costa e il suo studio Doppio. Inoltre ringrazio Paul Tired e TUTTO il gruppo di amici che mi ha fatto conoscere, per le mangiate e le chiacchiere e lo scambio di musica, in particolare ringrazio Rino che ancora sta facendo i salti mortali per far suonare i vecchi tapes dei Carillon Del Dolore... And, of course Max, che ha atteso "un po' di tempo" per ricevere questa intervista.

Sono stati Carillon Del Dolore:
Paolo Taballione: chitarre d'ogni genere e schiatta
Luisa Mann: tastiere (per alcune prove pre-Trasfigurazione)
Sergio Zambon: chitarra basso (per le prime due volte della banda)
Stefano "De Cupis" De Rossi: chitarra basso
Francesco "Gringo Franco" Lancia: batteria
Tommaso Timperi: uso della voce

E poi Petali del Cariglione:
Paolo, Stefano, Francesco, Tommaso
Fabio Fiorucci: tastiere

Le Aspidi:
Marina Lorenzi
Donatella Mei

"Caput Mundi" per gli abiti di scena
Marina Lorenzi
Donatella Mei
Sergio Zambon

Per contatti, e-mail:
morfh@libero.it (Paolo Taballione)
[Intervista a cura di
Max 13-34 per Erbadellastrega.it - Gennaio 2005. Per le foto ringraziamo Mauro Giachino]

 

 
LE ASPIDI - Intervista a Marina Lorenzi
Non potevo parlare di Carillon Del Dolore senza menzionare Le Aspidi, protagoniste della splendida copertina di "Trasfigurazione". Dato che la curiosità mi ha sempre spinto avanti mi son fatto forza e le ho cercate. Purtroppo non sono riuscito a contattare entrambe, ma credo di non sbagliare se le parole dette da una gentilissima e disponibilissima Marina Lorenzi possano essere lette anche come quelle che Donatella Mei, sua ex compagna nel progetto, avrebbe utilizzato...

1) Marina, è davvero un enorme piacere poter parlare con te! Per coloro che hanno amato ed amano Carillon Del Dolore tu e Donatella siete delle specie di dee, dei miti!
- Ma Dai, su, ma che dici... :-)

2) Si, davvero! Colpa della copertina di "Trasfigurazione", con quelle vostre foto e quella piccola scritta in basso, "Le Aspidi"... e tutti a chiedersi "Ma chi sono 'ste Aspidi? Ma che fanno? Ma esistono? E che facevano?"...
- He, he.. certo che esistevamo! Tutto nasceva dal nostro bisogno interiore di esprimerci, che era totale. C'era Caput Mundi, che era il nostro atelier privato, dove lavoravamo io, Donatella e Sergio Zambon. Cucivamo abiti per noi e per i Carillon proprio a fianco alla loro sala prove... avresti dovuto esserci... un macello... un'energia enorme si respirava in quei pochi metri quadrati, dove arte, idee, voglia di esprimersi erano elevate alla massima potenza. Eravamo una fucina di giovani che cercavano, credo, di dare un senso alla loro vita ma senza lasciarsela sfuggire di mano...

3) Vuoi parlarci delle Aspidi? Cosa facevate in concreto?
- Eravamo molto, molto giovani... Proponevamo delle performance in cui proiettavamo delle diapositive e recitavamo dei testi. Majakowsky e cose di quel tipo. Eravamo davvero piccole e folli con delle esigenze espressive enormi. Proiettavamo queste diapositive di noi vestite da angeli buttate in mezzo ai barboni di Roma, prendendo man mano confidenza con la nostra espressività. Le performance non comprendevano recitazioni o cose simili. C'eravamo noi che declamavamo questi scritti, o stralci di essi, con delle basi molto ossessive preregistrate in sottofondo e queste foto in successione che ci ritraevano, angeliche, in varie realtà cittadine degradate.

4) E dove avvenivano queste performance? C'era un riscontro di pubblico?
- Ci esibimmo al Uonna Club, all'Executive ed in molti altri posti. Le reazioni non
erano sempre delle migliori ma non ci interessava né ci toccava. Davvero non avevamo interesse nell'essere capite o nell'essere accettate. Era semplicemente un esigenza nostra di espressione, magari coinvolgendo persone "simili" a noi.

5) Intendi dire i "darche" dell'epoca? :-)
He, he... sì, diciamo di sì. E' ovvio, eravamo nella fase molto dark e decadente della nostra vita, dove tutto è oscuro e cose di questo tipo. Erano anche gli anni dove il movimento era nuovo, diciamo, quindi non avendo molti punti di riferimento potevamo davvero sentire e fare nostro quel modo di pensare. C'era anche un discorso di autogestione totale, sia dell'individuo che dell'immagine. Trucco, vestiti, accessori... era tutto fatto da noi, ed era il nostro modo di vestire quotidiano. Nostro come quello dei Carillon... dovevi vederli in giro per Roma con la gente che si girava in continuazione... erano divini.

6) Che ricordi hai di quei giorni?
- Ricordo che eravamo tutti motivati. Ognuno di noi aveva una fiamma dentro che voleva rimanesse accesa, ed ogni giorno era una sfida per alimentarla e portarla avanti. Paolo era il musicista per eccellenza, ma la figura di punta di quella cantina era Tom. Lui era un vero e proprio sacerdote. Era concentratissimo su quello che faceva, ci credeva davvero, in una maniera incredibile. Solitario, era un vero talentuoso, dove per vero intendo limpido, genuino e non artefatto. Aveva qualcosa di magico dentro se e credo lo si possa capire dalle sue liriche.

7) A posteriori cosa ti resta?
- Mi resta moltissimo. Recentemente ho rincontrato Stefano, che abita vicino a me, e Donatella. Ci è rimasto uno splendido ricordo, che ci fa sorridere, ma che ci fa capire come il tempo passato assieme non sia stato buttato. Abbiamo costruito le basi per ciò che siamo ora. Eravamo delle persone creative e quella palestra ha fatto in modo che nessuno di noi sia finito a fare una professione che odiasse, e nemmeno che ci impiccasse. Personalmente devo molto all'esperienza con i ragazzi perché, finita quella, ho capito davvero quello che volevo fare nella vita. Ho studiato recitazione e mi sono data anima e corpo a quello che è il mio obiettivo: recitare.

8) Quindi ora sei una attrice...
Teatrale, si. Donatella invece è poetessa. Scrive e partecipa a molti reading. Recentemente collabora con Le Passere Solitarie. Sergio invece dopo il Caput Mundi si buttò anima e corpo nella moda, arrivando a lavorare anche per grandi stilisti come Fendi. Come vedi ognuno ha seguito la sua strada.

9) Per concludere Marina, che differenza vedi con lo spirito di quegli anni e quello attuale?
- E' semplice... all'epoca nessuno si è mai posto il problema del successo. A nessuno importava averne davvero, né essere "qualcuno". Eravamo liberi e come tali avevamo la possibilità di esprimere al meglio le nostre qualità, personalità e potenzialità, senza limiti né imposizioni. Ora invece sia nella musica, sia nel teatro, c'è sempre questa corsa... questo voler proiettare tutto al successo... ed è spersonificante. Oltre che molto, molto triste...

10) Marina, non mi resta che augurarti tutta la fortuna del mondo col tuo lavoro e ringraziarti nuovamente per l'estrema disponibilità!
Grazie a te Max, grazie per i complimenti e per avermi fatto rivivere quei ricordi indimenticabili...
[Intervista a cura di
Max 13-34 per Erbadellastrega.it - Gennaio 2005]
 
 

 
° CARILLON DEL DOLORE - "Fiori malsani" [Tempio Tabù Records 001 cassetta autoprodotta, 1983]
"Attento, se cerchi di fregarmi, io fregherò TE!"
Non avrei mai pensato di dover parlare "pubblicamente" di questo lavoro. E il farlo mi intimorisce da una parte e galvanizza dall'altra. Perché per chi scrive "Fiori malsani" è IL demotape darkwave italiano per eccellenza, la cassetta che chiunque dovrebbe avere, alla stregua di un "Deathwish", di un "An ideal for living" o qualsiasi altra cosa vi venga in mente. Perché qui dentro c'è l'essenza di quello che, per me, era ed è darkwave. La finta nenia punitiva di "Prologo", infatti, non può che aprire le porte ad uno dei pezzi più violenti e malati che il mio orecchio abbia mai sentito, quella "A kind of love, a kind of hate" che parte lentissima e tribale per crescere senza una precisa direzione ma con un effetto a dir poco devastante, raggiungendo ritmiche hardcore da paura, ritmiche mantenute alte per tutta "On a poetic morning" con degli stacchi da brivido... e la voce alienata/alienante di Tommaso che, Dio mio, non può non risultare la personificazione della morbosità malata, soprattutto se a contrapporsi ad essa va a mettersi quella maledettamente tagliente slide proto (e sottolineo PROTO) mephistowalziana di Paolo Taballione, mentre Stefano e Francesco macinano ritmiche a velocità incostante ma fottutamente VERE e PRESENTI e uno non può nemmeno prendere fiato perché parte "RHS", dolcissima ballata vestita di violenza, che sgorga sangue da ogni ferita, che si apre quando il ritornello cresce e ti entra, malato e perverso, nelle viscere più profonde senza andarsene, mai più. Tremano quasi le mani. Ma non c'è tempo e "Elegy for a friend" viene, si siede e ci spiega cos'è il post punk: romantica e velocissima è proprio prima di "Crawling over the window (just like a fly)" nel cui mezzo è incastonata una piccola gemma di psichedelica wave che non può non rimandarmi alle lisergiche notti barrettiane. E' proprio in queste condizioni, esausti fisicamente ma soprattutto mentalmente, che arriviamo alla summa della deviazione lisergica visionaria-ma-non-troppo dei nostri. "Pain" è un monumento che va vissuto e sentito. Ma il Carillon sul primo demo si esprimeva ancora in lingua anglosassone... meglio rimandare a dopo...
 
° CARILLON DEL DOLORE - "Trasfigurazione" [Contempo Records, Mini Lp, 1984]
"Cosa è servito esser vivi così tanto tempo fa?..."
Posare la puntina sul primo solco di questo vinile, a distanza di più di vent'anni dalla sua pubblicazione, rappresenta per me sempre qualcosa di magico, quasi rituale. Perché conosco a memoria tutto. Ogni singolo solco ha per me rappresentato un mondo, un mondo visionario fatto di concretezza elevata all'estasi. E' per questo che ogni volta che partono le note di "Lontano" cado quasi in una specie di catarsi, dove è vietato intromettersi. E' molto difficile rimanere distaccati e professionali quando l'oggetto della descrizione è, ad esempio, "Dolore", ovvero la "nuova" versione di "Pain". Liriche che farebbero impallidire la maggior parte degli pseudo-feticisti sparsi nei club di mezzo mondo, sputate chiare in faccia con l'onnipresente slide di Taballione che crea trame su trame mentre la ritmica, lenta ed ossessiva, fa da sfondo ad una delle ballate più decadenti che siano mai state pubblicate. Dico "una" perché quando a seguire c'è un brano come "Escono il coro e gli attori" non ci sono parole. Ulteriormente esasperata la lentezza, amplificato il lato acido delle chitarre, appesantito il lato lirico, fatto di poche immagini, ovvie forse, ma dannatamente efficaci. Perché in quei momenti, sembra DAVVERO di essere tra quelle "Stanze gelide" con i muri bianchi vagamente scrostati, arredamento sotto l'essenziale, finestre semi-aperte con tende lunghe bianche che si lasciano muovere, freddo, solitudine, vuoto. Punto. Bisogna avere la forza di girare lato. E dal lato bianco, si passa a quello nero. E cambiano le carte in tavola. Perché "Crimine di passione", lenta, prolissa e macabra, ha l'effetto contrario. Dove prima c'erano il calore della sensualità o il dolore dell'assenza, ora c'è la follia omicida, la passione che scavalca la linea sottile del bene e diventa male. Dieci minuti che buttano colore non colore nero sulla tela, tela che non schiarisce nemmeno con "La fiaba", brano che di fiabesco ha ben poco, e che conclude degnamente uno dei lavori più importanti e significativi che siano mai usciti, non solo in Italia. Irripetibile ed irripetuto "Trasfigurazione" rimane un must che ogni appassionato di musica deve avere o perlomeno conoscere. Trascendere da esso è imperdonabile. Un capolavoro immortale, talmente perfetto nella sua imperfezione da risultare tutt'oggi oggetto di culto nonostante le varie imprecisioni di esecuzione e registrazione. Da avere. Esistono due stampe di "Trasfigurazione": la prima ha copertina in bianco e nero, inserto con testi su foglio verde, vinile nero. 1500 copie, mentre la seconda è in vinile trasparente, copertina bianco e viola, limitata a 500 copie.
 
° CARILLON DEL DOLORE - "Ritratti dal vero" [cassetta autoprodotta mai distribuita ufficialmente, 1985]
"Potresti vincere la guerra pur perdendo ogni battaglia..."
Passare dalle tinte nere di "Trasfigurazione" a quelle policromatiche ed ariose di "Ritratti dal vero" non è facile perché, nonostante siano usciti ad una distanza relativamente breve, la band aveva già mutato pelle. Fabio Fiorucci era entrato alle tastiere, arricchendo con cesellate di suoni le composizioni vecchie e nuove dei nostri, e questo portò anche ad una logica amplificazione del lato melodico e degli arrangiamenti. Carillon Del Dolore era idealmente morto, lasciando spazio a Petali Del Cariglione e, come biglietto da visita, mette in apertura "L'altra donna" che traccia i contorni del nuovo corso intrapreso. Ritmiche non più ossessive ma aperte, cambi d'atmosfera, cori e cesellature tastieristiche che vanno a convivere con la voce di Tommaso che ora non è più un avido lamento malato e schizoide, bensì una modulazione in equilibrio tra cantato e recitato. "Ordine sacro" col suo andare dondolante, riporta più alle visioni barrettiane nell'epoca Pink Floyd che al tormento inglese nerovestito, mentre "Genius" tinge di mediterraneità la new wave raffinata di primi anni '80, con quelle atmosfere a metà tra il malinconico e lo scintillante. "Culto d'occidente" stupisce per la sua solarità, mentre "Capitolo IV", sontuoso strumentale diviso in tre sezioni, sembra davvero la summa della psichedelica mischiata alla new wave di quegli anni. Gemma inestimabile, a parer mio, è la nuova versione cantata in lingua madre di "RHS" ancora più dolce e romantica dell'originale, dove ai momenti violenti embrionali vengono sostituiti veri e propri passaggi di poesia decadentemente sublime: se un brano può portare alla commozione, questo è uno di quelli... Convince invece poco la nuova versione de "La fiaba", molto simile invero all'originale, ma con un inciso medievaleggiante che lascia un po' così... "Altrove" è un epilogo adatto al contesto, non aggiunge né toglie nulla ad una manciata di canzoni che, se fossero state lasciate così, avrebbero dato vita sicuramente ad un album convincente. Questo perché "Ritratti dal vero" non è nient'altro che un provino privato (poi circolato in maniera non ufficiale tra amici e conoscenti) in vista delle sedute di registrazione di quello che doveva essere il primo Lp su lunga durata dei Petali Del Cariglione: ma questa è un'altra storia.
Dimenticavo, in coda alla cassetta c'è una versione leggermente remixata di "RHS" originariamente inclusa in una compilation allegata a "Tribal Cabaret", fanzine capitolina di quegli anni.
 
 
° PETALI DEL CARIGLIONE - "Capitolo IV" [Lp/Mc Contempo Records, 1985]
"Nessuno sa che questo è il suo colpo di coda?..."
Quando, molti anni fa, questo disco mi capitò fra le mani il primo istinto che ho avuto dopo il primo ascolto era di prenderlo e buttarlo dalla finestra. Giuro. Alla fine per collezionismo, amore nei confronti del Carillon, quello che volete, restò nelle mie mani. Ma mentirei se dicessi che lo ascolto. Le imprecisioni delle voci, la scoordinatezza degli strumenti tra di loro... Dio mio, sembrava che ognuno andasse per i fatti suoi (e fortunatamente a distanza di anni ho scoperto anche il perché) e i mixaggi... suoni terribilmente amalgamati, quasi fastidiosi a volte. E dispiace. Dispiace perché le canzoni c'erano, eccome! Ma è possibile che dei provini siano superiori ad un album registrato in studio?! Lasciamo perdere... La nuova versione di "Crimine di passione" è riuscita a metà, molto belle le idee ma male sviluppate. "La Fiamma" poteva essere una geniale mini suite, ma così com'è risulta essere troppo impastata e la maggior parte dei passaggi ed arrangiamenti va perduta, sminuendone il valore. "Sciami di mosche bianche" non è altro che "Crawling over the window" con testo variato ed in italiano. Bellissima tanto quanto l'originale, seppur sottilmente diversa, dimostrava quanto, in fondo, il cuore del Carillon fosse rimasto lo stesso, nonostante la forma. "Anakronos" mi piaceva molto e continua a piacermi, in bilico tra post punk e wave mediterranea, mentre "Della nascita, della differenza" segnava un nuovo punto di partenza a parer mio, e sarebbe stato interessante sentirne gli sviluppi. Per quanto riguarda le restanti tracce, rimangono comunque inferiori alle versioni ascoltate su "Ritratti dal vero", quindi non ho molto da dire a riguardo. "Capitolo IV" è una promessa mancata. Era il lato (si lo so, mi sto ripetendo e sono noioso) psichedelico del Carillon, il giusto proseguo dopo un monumento gotico inarrivabile come "Trasfigurazione": le canzoni c’erano tutte, l'anima del gruppo anche. Purtroppo, come ora sappiamo, le cose andarono storte... ecco perché, come tanti, ho sempre avuto questo rapporto ambivalente con questi solchi. Splendide composizioni. Presentate in maniera inascoltabile. Peccato. Resta il fatto, comunque, che anche a distanza di anni sono canzoni che continuano ad avere un valore artistico notevole, motivo per cui consiglio, se ne trovate una copia, l'acquisto e l'ascolto. Sforzatevi di "ascoltare tra le righe" e potreste rimanere estasiati. Se vi fermerete in superficie, ahimè, le cose si complicano...
 
° Appendice Bootleg
DAL VIVO AL TEATRO ESPERO, ROMA, 11.02.84 - cassetta pirata
DAL VIVO AL TEATRO MASSENZIO, ROMA, 27.07.1985 - cassetta pirata
Circolano da anni nell'ambito dei "tape traders" queste due cassette dalla qualità audio pessima. Recentemente si trovano anche online tramite i soliti mezzi illegali per scaricare musica. Non mi sento di consigliare suddetti live a chi non conosce Carillon o Petali, ma sono comunque un discreto contorno per chi di loro ha già tutto. La data all'Espero è un documento storico, in quanto si tratta del debutto ufficiale dal vivo dei Carillon Del Dolore. Stupisce la furia con cui i quattro si lanciavano nelle loro composizioni, risultando molto più violenti e selvaggi che sul già malatissimo demo d'esordio. Interessante anche l'inedito "Swansong for a lovestory", molto cadenzata e goticheggiante, che non ha poi mai visto la luce in studio. Il secondo live, quello al Teatro Massenzio, ci porta invece alla seconda formazione, già Petali dunque, e dimostra come il gruppo fosse cresciuto anche in fase live. Interessante la riproposizione di "Escono il coro e gli attori" alleggerita notevolmente e una versione di "Della nascita, della differenza" davvero coinvolgente e sentita. Solo, comunque, per appassionati.
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* La redazione si dissocia da qualsiasi dichiarazione lesiva all'immagine di terzi. L'intervista rispecchia le opinioni degli intervenuti.