RECENSIONI DISCHI

THE CHURCH - Untitled #23

Second Motion/Unorthodox 2009

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I Church hanno sacrificato il successo mondiale, ormai tra le loro mani all’epoca del fortunatissimo singolo Under The Milky Way, a favore di una carriera fatta di ottima Musica.
Negli anni ‘90 e 2000 sono riusciti a mutare la formula e si sono fatti ri-conoscere, ad un pubblico più ristretto, con una serie di album di altissimo livello, Magician Among The Spirits, Hologram Of Baal (e il cugino Bastard Universe), After Everything Now This.
Untitled #23, che ci rammenta che questo è il loro 23° lavoro pubblicato in Australia, prosegue il discorso e si inserisce perfettamente in questa nuova corrente presentandoci un gruppo in ottima forma, pure loro vicinissimi al trentennale.  Senza fare nomi mi limito a dire che in quest’ultimo periodo abbiamo assistito ad una parata di vecchie glorie anni ’80. Discreti lavori ma forse niente più.
Pure i Church forse non dicono nulla di nuovo, ma si presentano dopo due anni di silenzio con un lavoro mozzafiato. Da tempo lontanissimi dal music business, che ha sorriso ad alcuni loro compagni di viaggio, distraendoli e in parte guastandoli, i Church hanno preso il pieno controllo della loro musica; la registrano e la producono quando e dove vogliono, liberi da qualsiasi tipo di manipolazione esercitata dalle case discografiche.
L’esempio più evidente è la scelta del singolo, “Pangea”, brano bellissimo, leggero, atmosferico, romantico, ma certamente non trascinante, accattivante, da classifica. I Church vendono se stessi, semplicemente, come dovrebbe essere, senza concessioni.
Però onestamente dispiace che non riscuotano l'attenzione che meriterebbero, e che rimangano ricordati per quell’unico singolo di fine anni ’80, ma chi li conosce sa benissimo che la loro discografia con gli anni è diventata sempre più ricca e preziosa, come davvero pochi sono riusciti a fare.
Untitled #23 occupa un posto ben distinto nella carriera della band, con i suoi ritmi lenti, le languide melodie vocali di Steve Kilbey, e una maggiore attenzione alle tastiere, perfettamente in sintonia con le chitarre di Marty Willson Piper e di Peter Koppes. Untitled #23, pur con gli inevitabili riferimenti alle opere precedenti, ha una sua precisa identità e conferma la grande qualità di questo gruppo che non smette di incantare.
E’ un album da ascoltare nel suo insieme, è un flusso di suoni legati l’uno all’altro, le chitarre e i sottofondi elettronici compongono un suono articolato, sfumato, psichedelico, onirico, come da tradizione. Bastano i titoli dei brani per capire dove ci troviamo: “Cobalt Blue”, “Space Saviour” (brano strepitoso), “Lunar”, “Sunken Sun”, “On angel street”. E’ musica fatta con il cuore.
“Deadman's hand” è un nuovo classico, che ascolterò e riascolterò e riascolterò… (come l’intero album)
Se li avete amati in tutte le loro fasi fino all’ultimo Uninvited Like The Clouds, allora cercate Untitled #23 e vi assicuro che lo amerete alla follia. Io lo metto vicino ai loro album più riusciti. Eccellente
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Galati

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